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Il calcio metafora e festa della vita

Simon Critchley
A cosa pensiamo
quando pensiamo al calcio
Einaudi - Torino 2018
pp. 176 - euro 14

Il calcio metafora e festa della vita

“La vita è un pallone rotondo”, sosteneva Vladimir Dimitrijevic, lo scrittore serbo scomparso nel 2011. Un’affermazione quanto mai vera soprattutto nel periodo dei Mondiali, quando i libri sul calcio si sprecano.
Un libro non sprecato e da non sprecare è quello di Simon Critchley, cinquantottenne docente di filosofia alla New School for Social Research di New York e tifosissimo del Liverpool, che per i tipi dell’Einaudi ha pubblicato A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio.
Come lo definisce lo stesso professore di Hertfordshire, si tratta della “descrizione di quanto si manifesta durante le nostre esistenze quotidiane”, descrizione che non trascura i concetti di “estasi percettiva”, di gioco, di relazione (tra giocatori e tifosi), mischiando Sartre e Zidane (di cui “la severità e la durezza del suo volto” sarebbero, secondo l’autore, un omaggio molto… tardivo al ritratto di papa Innocenzo X che il pittore spagnolo Diego Velàzquez dipinse nel XVII secolo), Beckett e Muller, Brecht e Ronaldo, Ranieri e Nietzsche, Jurgen Klopp e Martin Heidegger.
Applicando gli strumenti della filosofia contemporanea, Critchley sostiene che il calcio è la dimensione in cui si manifesta la libera associazione di essere umani e, forse, stando alle parole di Sartre, è l’unica occasione che abbiamo di sentire l’equilibrio perfetto tra l’agire di un gruppo e quello di un individuo, dove, quasi in un gioco di specchi, il primo mette in risalto il secondo e viceversa. Il calcio, ricordando lo psicologo statunitense di origine irlandese William James, è la “festa della vita”, ed anche la natura del cronos cambia. Si entra nella Dta, drammatizzazione temporale dell’attesa: l’attesa della partita, soprattutto se di particolare importanza, l’attesa della fine della partita, diversa a seconda che la squadra del cuore sia in vantaggio di misura oppure debba recuperare il risultato.
La Dta, però, non incide negativamente sulla bellezza del calcio, fatta pure di favole: la favola dell’Hellas di Osvaldo Bagnoli, così come la favola del Leicester di Claudio Ranieri, anche perché, come diceva Johan Cruyff, «perché non dovrebbe essere possibile vincere contro una squadra più ricca? Non mi è mai capitato di vedere una mazzetta di soldi fare gol». Una contraddizione, questa, in un mondo dove lo sport è sempre più un business: eppure, poiché nel calcio convivono intelligenza e stupidità (non solo dei tifosi, ma anche dei calciatori e dei presidenti), i tanti soldi non portano alla vittoria sul campo, come dimostra la storia internazionale del Paris Saint Germain dell’imprenditore qatariota Nasser Ghanim Al-Khelaïfi.
In conclusione, il libro di Critchley – accessibile pure a chi ha scarsa dimestichezza con il calcio e con la filosofia – ci spiega che il football non ha tanto a che fare con la vittoria e la sconfitta, quanto con il raggiungere, anche solo per un breve ma indimenticabile momento, uno stato di grazia.

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