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Per tifosi nostalgici di partite allo stadio

Sandro Bonvissuto
La gioia fa parecchio rumore
Einaudi - Torino 2020
pp. 200 - euro 18,50

Per tifosi nostalgici di partite allo stadio

“Ci sono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma”. L’affermazione di Agostino Di Bartolomei, indimenticabile capitano della squadra giallorossa del secondo scudetto, trova una conferma ne La gioia fa parecchio rumore, l’ultima fatica letteraria che Sandro Bonvissuto ha pubblicato per i tipi dell’Einaudi.
I sentimenti sono una cosa seria, e la serietà è il lasciapassare che serve all’autore per parlare del suo amore per la Roma. Certo, ne parla facendo capire che lo sport, il calcio, la Maggica non sono indispensabili come l’aria o l’acqua; però a Bonvissuto e a tanti tifosi giallorossi trascorrere un fine settimana senza vedere la squadra che porta il nome della Capitale equivale a una noiosa sofferenza.
La Roma ha a che fare con la socialità perché è un abbraccio all’altro ancor prima di farlo per un gol allo stadio, dove la scoperta che non sei solo ti farà sentire sempre parte di una comunità speciale. Non c’è Roma senza un altro romanista con cui condividerla. La Roma è quel sentirsi uniti anche se si è lontani, anzi persino tra sconosciuti. È sempre e soltanto quel modo di fare un tifo diverso condividendo le sconfitte, il divano di casa da cui ascoltare le partite alla radio, le trasferte, i panini con la frittata da portare all’Olimpico.
Il romanzo di Bonvissuto, però, non è solo un inno alla passione per la Maggica, ma pure una riflessione dolente sulla Storia, “un vento che soffia sul mondo e sull’uomo” che non si può comprendere “perché duriamo niente, e ciò che non dura per la Storia non ha valore”. La Capitale e la Roma, una Roma prima e dopo Paulo Roberto Falcao, un brasiliano atipico con la maglia numero 5 che, in punta di piedi, realizza il sogno proibito di tutti i tifosi, il secondo scudetto della storia giallorossa: questa è storia, ma con la S minuscola, che però resta scolpita nella memoria di intere generazioni di tifosi, quando l’Olimpico trasudava amore e i calciatori in campo alzavano al cielo trofei. Nel frattempo il mondo è cambiato, il calcio è cambiato, il tifo è cambiato così come sono inevitabilmente mutate le logiche comunicative, gli strumenti e il modo di relazionarsi. Oggi è tutto social, viaggia veloce sul web, travolge spesso la realtà. Ma adesso, nel 2020, così come nel 1983, i tifosi rappresentano l’unico reale motore di una squadra di calcio, sport certamente meno nobile di altri e spesso infangato da scandali, vilipeso da reiterati episodi di razzismo, dipendente da logiche finanziarie che ne stanno estremizzando i contorni.
Il calcio esiste per i tifosi, i tifosi esistono per il calcio e trasformarli in clienti è una deriva moderna che, implicitamente, Bonvissuto non approva giacché si scontra con la partecipazione passionale della gente che, se tifa per la Maggica, “non si tiene niente nel cuore”. Perché, come scrive Bonvissuto, “la tristezza è muta, va bene, ma la gioia fa parecchio rumore”.

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