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I naufraghi vanno comunque salvati a prescindere da tutto il resto

Caterina Bonvicini
Molto molto tanto bene
Einaudi
Torino 2024
pp. 208 - Euro 18,50

Parole chiave: Caterina Bonvicini (1), Molto molto tanto bene (1)
I naufraghi vanno comunque salvati a prescindere da tutto il resto

Caterina Bonvicini è nata nel 1974 a Firenze, ma è vissuta a Bologna, dove si è laureata in Lettere moderne, e ora vive e lavora tra Milano, Roma e il Mediterraneo, imbarcandosi sulle navi Ong dal 2018: prima a bordo della “Mare Jonio”, poi della “Ocean Viking”, quindi della “Geo Barents”.
La nave di Molto molto tanto bene è la “Endurance”, un nome di fantasia per una storia vera che trasforma un romanzo in un saggio basato sulle vicende di una famiglia nata in mare, approssimativa e sgrammaticata come il titolo di questo libro sorprendente. Sorprendente per tutti coloro che ritengono gli europei cattivi, egoisti e intolleranti, mentre i richiedenti protezione bravi e buoni a prescindere e gli attivisti delle Ong eroi disinteressati e solidali. Non è proprio così, a iniziare dalle organizzazioni non governative. “Flotta civile? Non sempre. A volte può essere anche molto incivile. Una Ong ha venduto a un’altra per centinaia di migliaia di euro una nave da buttare. Concluso l’affare, hanno brindato ai polli che avevano pagato per affondare o restare in porto”.
Quanto all’intolleranza, pure i migranti non scherzano: “I bengalesi odiano gli egiziani, perché li sfottono e li bullizzano. Le donne libiche sono riuscite a creare un’apartheid”, e perfino le bambine libiche “indicano i neri e storcono la faccia, chiudono il pugno e spingono il pollice verso il basso. È impossibile anche organizzare un banale girotondo perché le piccole libiche si rifiutano di prendere per mano i loro coetanei subsahariani”.
Per quel che riguarda poi la riconoscenza dei salvati, la scrittrice racconta la sua esperienza: con suo marito Riccardo ha preso con sé una donna ivoriana e i suoi due bambini, ha dato loro una bella casa e ogni opportunità. Ma è stata ripagata con una fuga, molte bugie e un pacco e mezzo di impicci.
Sconfortata, Caterina dalla “Endurance” scrive alla sua amica Chiara: “L’equipaggio è favoloso, ma come naufraghi c’è di meglio. Forse non riesco più ad amare le persone che ho salvato”. La risposta è di una semplicità disarmante: “Cate, chi ha detto che bisogna amarle? Bisogna salvarle e basta, che ti piacciano o no”.
Occorre salvarle. Punto. Altri devono pensare a come rendere possibile l’inclusione (non l’integrazione, perché l’integrazione è sempre una reductio ad unum) di questi naufraghi che giungono in Italia a chiedere una qualche forma di protezione internazionale. Ma primum vivere, deinde philosophari. Bisogna salvarle, perché nel Mediterraneo, a trenta miglia a nord della città libica di Zawiya, vige l’obbligo di salvare la vita in mare. È un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolare.

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