TECNO-LITURGIA
Stanno bene insieme la liturgia e la tecnologia? Sì, ma... La liturgia si evolve insieme con la storia. Il contatto umano e la dimensione corporea rimangono fondamentali. Lo strumento tecnico è a servizio della fede.
Stanno bene insieme la liturgia e la tecnologia? Le risposte potrebbero essere diverse. Naturalmente l’azione liturgica è un’azione complessa, coinvolge tanti elementi e richiede anche una certa “tecnica” sia per essere compiuta sia per preparare ciò che è necessario a compierla. Essa ha certamente goduto in una buona misura dei guadagni che il progresso tecnico ha portato e, almeno in parte, ha contribuito al suo sviluppo.
La liturgia si evolve insieme con la storia
Poiché la liturgia si realizza sempre dentro un contesto storico, è normale che ne assuma le tecnologie che sono disponibili. Ormai è frequente vedere, ad esempio, qualcuno che prega la Liturgia delle Ore o che segue le letture della Messa non con il libro in mano ma con lo smartphone. Tuttavia si può avere l’impressione che la liturgia si muova con molta lentezza su questo fronte. Si tratta di una forma di conservatorismo? Vi è un giudizio negativo sul progresso tecnologico? Non necessariamente. Occorre piuttosto capire meglio il senso di quello che facciamo quando celebriamo. In particolare, vorrei evidenziare due aspetti importanti.
Il contatto umano e la dimensione corporea
La liturgia conserva una dimensione “elementare”: è un incontro tra persone che interagiscono e dialogano con Dio; nei sacramenti si richiede un contatto, si utilizzano cose concrete come pane e vino da mangiare, acqua per lavare e aspergere, olio per ungere il corpo. Non si dovrebbe mai perdere questa dimensione di contatto, di coinvolgimento immediato, perché questo livello di implicazione dà “corpo” alla nostra fede. L’uso di tecnologie moderne rimane valido se ci aiuta a radicarci a questo livello di relazione. Lo è meno se lo surroga e ne aumenta solo l’aspetto “spettacolare”. Non si ottiene molto se si cerca di stupire i fedeli con “effetti speciali”. Lo stupore di cui ha bisogno la liturgia è quello di sentirsi raggiunti da Dio, dalla sua parola, dalla sua benevolenza, e di sentire che ciò fa rinascere e rinsalda la nostra fraternità, al di là delle differenze e lontananze personali. Pregare con lo smartphone non rende la preghiera più fervida, ma, se preghiamo con fervore, anche lo smartphone può essere di aiuto.
Lo strumento tecnico e il “salto della fede”
C’è anche un secondo motivo che rende “prudente” la liturgia di fronte alla tecnologia. La celebrazione ricorre al registro simbolico della comunicazione; essa funziona se sa fare spazio al rapporto con Dio che rimane trascendente, non può essere manipolato, simulato, controllato dai mezzi che utilizziamo. Da questo punto di vista, la tecnologia rimane dell’ordine dei mezzi. Può servire, ma non deve distrarre da questa finalità e soprattutto non deve ridurre la celebrazione ad un modo di agire strumentale. Una buona celebrazione non è opera di un “tecnico” della liturgia. È più simile all’opera di un poeta, di un artista, cioè di uno che, pur utilizzando le cose e gli strumenti che la realtà gli offre, sa fare spazio a ciò che è al di là di essi. Deve essere chiaro: c’è un “salto” da fare, per non ridurre la fede a illusione o a dominio su Dio. In altre parole, ci può essere una tecnologia a servizio della liturgia, ma non è sano ridurre la liturgia a una questione tecnologica. Nella misura in cui quest’ultima può intensificare l’azione simbolica propria del rito, senza attirare l’attenzione su di sé e rimanendo aperta a Dio, troverà lo spazio utile per svolgere il suo servizio.
Don Luigi Girardi
Docente di Liturgia
Record di ascolti!?!
Non si può equiparare il video con la presenza
«Record di ascolti!»: così titolavano i giornali il 21 marzo scorso riferendosi, tra l’incredulo e il sorpreso, agli oltre 4 milioni di persone che la sera precedente avevano seguito il Rosario in diretta curato dalla Conferenza episcopale italiana, realizzando il 12,8 % di share. Un numero ancora esiguo se posto in confronto con i 17 milioni e 400mila italiani che il venerdì successivo avrebbero seguito tramite la televisione la preghiera del Papa in piazza San Pietro in questo tempo di pandemia. Non è corretto ridurre la fede a una questione di numeri da platea televisiva, ma penso sia importante prendere sul serio la questione dello “share”. “Share” significa condividere e forse il dato interessante, al di là delle percentuali, è il fatto che in questo tempo di emergenza sanitaria, nel momento di massimo isolamento, si è ritenuto essenziale condividere (share) anche momenti di preghiera. Se riaffiorano alla mente le immagini dei canti al medesimo orario dai balconi o altre espressioni di creatività del tutto italiana, è opportuno fare riferimento anche alla moltitudine di Messe, momenti di preghiera, catechesi video trasmessi o lanciati on-line sulle diverse piattaforme di comunicazione.
Questa nuova situazione ha colto tutti di sorpresa, e in buona parte impreparati, e ciò ha prodotto in tempi brevissimi una digitalizzazione diffusa. Questo passaggio vissuto con estrema rapidità anche nel mondo ecclesiale ha messo in luce potenzialità e limiti del mondo virtuale rispetto all’ambito liturgico. La Messa on line o in Tv può essere un aiuto per sostenere la preghiera personale e mantenere un contatto con la realtà ecclesiale, a patto che sia ben presentata (cf. “Celebrare in diretta Tv o in streaming”, nota dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali), ma non si può equiparare la videotrasmissione con l’esperienza in presenza. La liturgia infatti è fatta di parole e azioni condivise: azioni di linguaggio (parole), gesti, movimenti, sguardi, profumo.
È necessario chiedersi quindi se la videotrasmissione riesca a restituire la densità dell’evento liturgico. Nella celebrazione in Tv o on line si assiste alla riproduzione televisiva della Messa, ma non si partecipa alla Messa. L’illusione che il virtuale possa esprimere validamente ogni dimensione di vita, compresa l’esperienza liturgica, significa far passare quest’ultima da una comunicazione di esperienza ad una comunicazione di informazioni sull’esperienza. La Tv media l’esperienza e mi restituisce una serie di informazioni su quel determinato evento.
Di una Messa televisiva posso sapere tutto (quanta gente c’era, come si è svolta, in che luogo…), ma non ne ho esperienza nella sua totalità. Il rischio è quello che si riduca la liturgia, che è condivisione di una azione rituale, a una condivisione di informazioni annullandone la portata trasformativa. La liturgia è fatta per immettere la vita dell’uomo in Dio, ma se tutto fosse trasmissibile vuol dire che la celebrazione servirebbe a “trasmettere” più che a “immettere” e ciò snaturerebbe la sua efficacia.
Ciò risulta evidente a partire dal contesto attuale dove, paradossalmente, in una famiglia di più persone ognuno potrebbe potenzialmente seguire una Messa differente, in un luogo diverso della casa, nello stesso momento, trasformando un’esperienza di comunione in atto individualistico. Inoltre, il Il fatto di non essere assemblea riunita, ma una serie di utenti che vedono quel video, induce a slegarsi dal contesto comunitario reale per immettersi in uno ideale. Non si tratta di squalificare in maniera inderogabile il mondo virtuale, ma riconoscere che ha una portata veritativa parziale. In questa esperienza complessa un criterio guida importante potrebbe essere quello di cercare sempre di avere un riferimento ad un’assemblea specifica come è reso possibile dai programmi di videoconferenza in modo da custodire una relazione significativa, promuovendo quelle esperienze liturgiche che prediligano il linguaggio verbale come la Liturgia delle ore, o la lectio perché si massimizzi lo “share” ovvero si realizzi una effettiva condivisione.
Don Carlo Dalla Verde
Direttore Ufficio liturgico
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