Attualità
stampa

«Terra Santa, prima volta nell’ombelico del mondo»

di Luca Passarini e Nicola Salvagnin
Il vescovo Domenico al ritorno dal pellegrinaggio diocesano

«Terra Santa, prima volta nell’ombelico del mondo»

di Luca Passarini e Nicola Salvagnin

«Non mi vergogno di dirlo, ma in verità io mi sono chiesto come mai ci ho messo tanto ad andare in Terra Santa»: così ci racconta mons. Domenico Pompili all’indomani del ritorno dal pellegrinaggio, il primo della sua vita appunto in Terra Santa. «Mi sono dato due risposte: da un lato la paura del feticismo, cioè questa sorta di esitazione rispetto a questa smania di voler toccare i luoghi, le cose, tenendo conto che il cristianesimo è davvero una proposta originale che sovverte un po’ questa maniera, diciamo così, di materializzare le cose. Cioè, come dice Gesù nel dialogo con la samaritana: né sul monte Garizim né a Gerusalemme Dio si adora, ma Dio va adorato in Spirito e Verità. Quindi questa paura del feticismo un po’ mi bloccava, anche se poi in realtà il cristianesimo è precisamente anche questa carnalità dell’esperienza, per cui effettivamente non si può prescindere da un luogo». 

– Paura affrontata. Paura superata?
«Certo, un timore che è stato superato anche perché abbiamo avuto, grazie a questa bella guida di mons. Martino Signoretto, la possibilità – più che di fissarci su dei luoghi – semplicemente di cogliere, attraverso la trama geografica, la storia della salvezza». 

– Diceva: due paure, due risposte.
«L’altro aspetto correlato e che mi tratteneva era un po’ la presunzione o, se volete, l’ingenuità dell’idealismo, cioè questa idea che il concreto quotidiano è sempre più banale e scontato di quello che si potrebbe immaginare, invece è così, facendo opera di fantasia.  Però anche questo è diventata una cosa che, a contatto con la realtà, invece è stata superata, perché effettivamente il contesto è di grande bellezza, nella sua normalità. Effettivamente il cristianesimo è questa capacità di saper trasfigurare le cose più ordinarie, è uno sguardo sulla realtà che non modifica le cose, ma le vede attraverso una luce diversa. Queste due paure in qualche modo sono state superate e devo dire che ne valeva la pena».

– Certo è che avete scelto un “bel” momento: mentre tutti adesso evitano di andarci, voi eravate lì. 
«Sì, e siamo stati accolti con grande entusiasmo dalla gente semplice, ma anche dalle figure più istituzionali, perché il problema che dopo il 7 ottobre si è prodotto è quello di una guerra che non era mai stata così lunga, per cui tutti convengono sul fatto che fosse questo il momento più drammatico degli ultimi decenni. Sia padre Ibrahim Faltas, sia il patriarca Pizzaballa, hanno sostenuto, appunto, che questo è un momento che non ha precedenti. Il fatto che ci siano stati alcuni che sono andati lì, è un atto di coraggio, hanno detto. Però anche di speranza per loro, perché dà la possibilità di rivedere la luce in fondo al tunnel. Comunque è una situazione triste. La paura di attentati e di bombe, i negozi deserti, i mercati cittadini che sono in genere super affollati appaiono invece desolatamente vuoti. Tra l’altro uno dei negozianti più noti, che vendeva l’olio di nardo – da cui noi abbiamo preso l’olio profumato per la Messa crismale - e il suo negozio che era il più avviato, improvvisamente il giorno dopo che abbiamo fatto gli acquisti è andato a fuoco. Ufficialmente per un corto circuito interno…». 

– Diceva di una situazione sociale pesante…
«Ci raccontava padre Faltas che la Chiesa fa fondamentalmente tre cose lì in questa situazione, ormai da decenni. Gioca e punta molto sull’educazione e quindi sulle scuole; questa è la ragione per cui la Chiesa cattolica, nonostante abbia numeri sempre più ridotti, è pressoché rispettata da tutti. E poi le case: lui parlava di centinaia di case date dalla Chiesa gratuitamente alle persone per poter vivere lì a Gerusalemme. E il lavoro: loro sostengono circa 3.500 famiglie, nonostante una situazione di mese in mese sempre più complicata, che sta precipitando e ahimè alcuni cristiani stanno pensando di andare altrove, a Cipro, in America, in Canada… Quindi il pericolo è che si desertifichi la presenza dei cristiani, che lì era stata anche garantita soprattutto dalla Custodia della Terra Santa».

– Per i sostegni economici?
«Non solo. Ha garantito anche attraverso gli scavi archeologici una grande moltiplicazione di siti che hanno trovato nell’archeologia, quindi secondo un metodo rigorosamente scientifico, una qualche forma di conferma nei testi biblici, e viceversa. Per dire, la scoperta a Cafarnao della casa di Pietro, o tutto quello che è stato scoperto sul lago di Tiberiade, significa avere un riscontro anche dal Vangelo per esempio, che dà alla scoperta archeologica conferma, e al tempo stesso la riceve. Quindi, in questo senso, potremmo dire che la geografia della Terra Santa è una sorta di quinto Vangelo, accanto ai quattro canonici: perché offre, attraverso la sua conoscenza diretta e le sue fonti che gli scavi archeologici portano sempre di continuo alla luce, grandi possibilità di conoscenza». 

– Qual è stato il luogo, lo spazio, l’edificio che più l’ha colpito?
«Sicuramente mi ha colpito molto il lago di Tiberiade, direi questa casa di Pietro: effettivamente siamo di fronte a uno scavo che ci riporta a quella che era la condizione di vita di quel tempo. Invece lo spazio fisico che mi ha colpito di più è stato sicuramente il Santo Sepolcro, e il luogo della Crocefissione, che stanno tutti dentro lo stesso grande spazio.  Sì, il sepolcro di Cristo, dove abbiamo celebrato la Messa eccezionalmente proprio perché c’erano pochi pellegrini (cosa che non capita mai) all’interno. E un’altra cosa che mi ha colpito è stata la porta dell’umiltà per entrare nel Santo Sepolcro. Si passa attraverso una porta che è molto bassa, bisogna abbassarsi per poter entrare. La famosa espressione di Gesù che dice: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei Cieli”, in realtà fa riferimento ad una grande porta d’accesso alla città che a un certo punto veniva chiusa. Ma, per salvaguardare alcune persone che potessero, per tante ragioni, non essere arrivate in tempo, si consentiva l’accesso attraverso una feritoia dentro la quale l’uomo passava, il cammello o l’asino no». 

– Alla fine: è stato importante andarci? Cos’ha di interessante quel pezzo di terra?
«L’interesse, secondo me, per la terra di Gesù è il fatto che Gesù non è solo colui che ci rivela Dio in una forma assolutamente originale, perché la conoscenza che passa attraverso Gesù rivoluziona gli immaginari attorno a Dio. Ma, in un certo senso, ci fa conoscere anche l’uomo, perché la sua vicenda personale in qualche modo porta ad evidenza tutte le varie situazioni esistenziali in cui viviamo: la nascita, la crescita, il contrasto, il dolore, l’amore, la gioia, la generosità, il gruppo, la comunità, la morte. Cioè tutte situazioni che in qualche modo appellano un po’ alla nostra condizione umana e le coinvolgono con questa figura assolutamente originale che è appunto Gesù di Nazareth». 

– Gesù richiama pure i discepoli a una sorta di “originalità” nella storia...
«Direi che la posizione della Chiesa è molto coraggiosa, in qualche modo si mette in mezzo tra i contendenti. Perché, come ha spiegato il patriarca Pizzaballa, la Chiesa non può assumere una posizione di uno contro l’altro, ma una posizione che sia sempre in qualche modo di uno, non senza l’altro». 

– Una Terra Santa quanto contesa.
«Certamente la terra è stata il tramite con cui Dio si è fatto vicino al popolo, però poi mi viene sempre da pensare il fatto che Mosè non è mai entrato nella terra promessa, come a voler rimarcare anche in una sorta di senso relativo. Il problema non è arrivare a quella terra fisicamente intesa, ma è arrivare a ciò che la terra significa». 

– E “quella” terra, cosa significa per l’umanità?
«Mi vengono in mente le parole di Vittorio Messori a margine di Ipotesi su Gesù, quando appunto, facendo riferimento al fatto che il cristianesimo non è originariamente occidentale; ha una matrice estranea al nostro contesto. Però di fatto, Gesù proprio quella terra ha finito per scegliere e Messori notava che il Medio Oriente era effettivamente per il mondo dell’epoca una sorta di punto di congiunzione dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia, insomma del mondo conosciuto allora. La Terra Santa era l’ombelico del mondo». 
Continua ad esserlo. 

Tutti i diritti riservati
«Terra Santa, prima volta nell’ombelico del mondo»
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento