Il Fatto di Bruno Fasani
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Un voto per l’Europa svuotata di contenuti

Quando, nella Biblioteca Capitolare di Verona, incontro i codici antichi che illuminarono i secoli dal IV all’VIII, mi rendo sempre più conto di quanto importante fu la cultura per cambiare il corso della storia e le scelte politiche del tempo...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Elezioni (35), Politica (43)

Quando, nella Biblioteca Capitolare di Verona, incontro i codici antichi che illuminarono i secoli dal IV all’VIII, mi rendo sempre più conto di quanto importante fu la cultura per cambiare il corso della storia e le scelte politiche del tempo. Furono secoli che videro il confronto tra la cultura latina, quella filosofica greca, la cultura giuridica di Costantinopoli e quella romana, la cultura dei barbari che il mite e acutissimo Cassiodoro, primo ministro di re Teodorico, tentò di conciliare con quella classica romana. Ma non va scordata la teologia del cristianesimo nordafricano, che ci regalò uomini come san Zeno e Sant’Agostino. Fu grazie al confronto di quegli anni che si fece largo l’idea di Europa, che troverà con Carlo Magno una sua definizione ideale e politica. Ma prima di tutto culturale. L’Europa non è infatti una realtà spaziale ma essenzialmente culturale. Essa è quel territorio ispirato dal diritto romano, dalla filosofia greca e dalla religione giudaico cristiana.
Vengono i brividi quando si pensa con quanta ostinazione i politicanti del nostro tempo, con quelli francesi in testa, si sono rifiutati di citare le radici cristiane nella Costituzione dell’Europa. Gongolanti come idioti felici di aver fatto la pipì fuori dalla tazza, non si sono resi conto di aver ridotto il nostro continente a pura espressione geografica in mano al mercato e alla finanza che fanno e disfano come meglio credono.
Questa domenica saremo chiamati a dare un voto per mandare qualcuno dei nostri a Bruxelles. A fare che cosa? A discutere di che? E ti prende il magone davanti al nulla di un voto che si è ridotto a una specie di referendum tra chi è pro e chi è contro. Una sorta di roulette, rouge o noir, bianco o nero, dove gli scazzottatori della politica sono a mostrarci i muscoli per convincerci che se daremo loro il voto staremo tutti meglio. Lo sostengono i filoeuropeisti e promettono le stesse cose i detrattori.
E nessuno che chiami a raccolta le ultime superstiti energie dell’intelligenza per ricordare che le cose da progettare sono moltissime, benché non se ne parli mai. E non penso ai mercati, allo spread, ai migranti... Penso ai destini dell’uomo del nostro tempo alle prese con le nuove sfide che avanzano, quelle di una giustizia non vendicativa, di una politica non corrotta, di un’etica che torni a mettere al centro il lavoro e la sua dignità e qualità, la formazione delle nuove generazioni, la tutela e il rispetto della longevità… Penso a un tema di cui i nostri politici, convinti ormai che spettino loro le competenze di Cesare e quelle di Dio, non parlano mai. Penso alla scuola non statale, ma rigorosamente pubblica. La chiamano con disprezzo la scuola dei preti. In realtà la temono perché sanno che se potessero avere vita più facile, le scuole paritarie farebbero incetta di alunni per via della loro offerta formativa di qualità. L’Europa è da anni che chiede di usare un trattamento egualitario. Ma alla prova dei fatti non richiama mai l’Italia a rispettare le regole. La richiama su altre cose, anche a sproposito, ma su questo tema silenzio di tomba. E ai nostri smemorati candidati non sembra vero. Convinti che ci debba pensare la Grazia del Cielo a risolvere i problemi, tra un rosario e un’Ave Maria, branditi come armi.

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