Il Fatto di Bruno Fasani
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Ritornare alle favole investimento sicuro

Eravamo bambini, quando dentro le stalle si consumavano i riti dello stare insieme, ovvero del filò come lo si chiamava dalle mie parti. Un vero e proprio cortile educativo, dove i bambini diventavano grandi e i vecchi trasmettevano il loro sapere...

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Eravamo bambini, quando dentro le stalle si consumavano i riti dello stare insieme, ovvero del filò come lo si chiamava dalle mie parti. Un vero e proprio cortile educativo, dove i bambini diventavano grandi e i vecchi trasmettevano il loro sapere. Più che favole, i grandi ci raccontavano storie vere, ingigantite dentro i confini emotivi dello stupore, che avevano facile accesso alla nostra fideistica disponibilità a credere. Non erano favole ma, a modo loro, lo erano.
Poi la scuola media, con l’obbligo del latino (patrimonio immenso per accedere alla logica che abbiamo buttato come fiori marci) ci avrebbe portato a conoscere Fedro ed Esopo. Le loro favole si trasformavano in ossatura della coscienza. Dietro gli animali, protagonisti indiscussi di quelle storie, si nascondevano in realtà le varie tipologie dei caratteri umani, con i loro pregi e soprattutto con le loro fragilità. Poi, passando al francese, allora monopolio linguistico, La Fontaine diventava il riferimento morale cui affidare le nostre implumi coscienze. La cigale et la fourmi, ossia la storia della cicala e la formica, campeggiava su tutte le altre, per indicarci che a perdere tempo, nel tempo in cui bisogna darsi da fare, si sarebbe finiti nell’inverno in cui nulla è più disponibile, materialmente e umanamente. Un inno alla responsabilità, per ragazzi senza patrimoni in vista e senza bancomat da sfruttare all’occorrenza. Queste erano le favole importanti, ma poi a tener vivo l’immaginario collettivo c’erano tutte le altre. Una per tutte, quella di un certo Pinocchio, che in fatto di presentazioni non ha certo bisogno. Il cardinale Biffi, una delle menti più lucide e acute della Chiesa, recentemente scomparso, su questa favola aveva scritto un testo impareggiabile: Contro Mastro Ciliegia. Si analizzava la vicenda come una grande metafora dell’uomo in rapporto al suo Creatore. Un libro da cercare e da leggere.
Questo è stato il nostro retroterra. Retroterra divenuto improvvisamente non-più-di-moda. Le favole si sono impelagate dentro un presunto razionalismo, che ha fatto terra bruciata alla fantasia, mentre la cronaca, sempre più nera e cruenta, ha imbottigliato la sensibilità dei ragazzi dentro i giochi dell’horror, dei personaggi violenti, dei mostri e dei maghi, di ogni tipo e di ogni razza, mentre i social network prendevano il posto della carta e dei suoi colori che raccontavano storie. Ora gli scienziati americani, dopo aver monitorato scientificamente il cervello dei bambini dai tre ai cinque anni, attraverso la risonanza magnetica, hanno sentenziato che non solo le favole sono belle da raccontare ai bambini, ma sono fondamentali per lo sviluppo di una parte della loro massa cerebrale, quella della semantica e della immaginazione mentale. Ossia, detto con parole più semplici, la capacità di capire il significato delle parole e di una frase, nonché di progettare in maniera creativa il proprio orizzonte di vita. E, aggiungo io, la capacità di formarsi una coscienza critica, visto che parlar di morale oggi non va molto di moda. La favola ha sempre una sua logica e un messaggio esistenziale.
Ai bambini leggere, leggere favole senza stancarsi suggeriscono gli esperti. Una pedagogia che ha il linguaggio dell’infanzia, ma che di fatto è un investimento da grandi. Quello di bambini diventati uomini, che hanno imparato a esplorare il mondo col linguaggio della sapienza, quella che racconta la vita, con la leggerezza di storie innocenti, senza perdere di vista il bene e il male.

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