Il Fatto di Bruno Fasani
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Liberiamo le donne musulmane dalla prigionia di certo vestire

È risaputo che, di questi tempi, mostrare i denti e i muscoli contro gli immigrati è operazione che in politica rende. Devono averlo pensato anche in Austria, dove, dalla scorsa settimana, è proibito indossare il niqab e il bourqa da parte delle signore musulmane, così come portare passamontagna fuori dalle piste da sci o indossare caschi che non consentano l’identificazione del viso.

Parole chiave: Musulmani (1), Il fatto (440), Bruno Fasani (349)

È risaputo che, di questi tempi, mostrare i denti e i muscoli contro gli immigrati è operazione che in politica rende. Devono averlo pensato anche in Austria, dove, dalla scorsa settimana, è proibito indossare il niqab e il bourqa da parte delle signore musulmane, così come portare passamontagna fuori dalle piste da sci o indossare caschi che non consentano l’identificazione del viso.
Politicamente libero, mi sento di esprimere tutta la mia approvazione. Bravi e coraggiosi. Per due ragioni di fondo.
La prima, la più ovvia, risponde a esigenze di sicurezza. Per chi non lo sapesse, il bourqa è quella specie di mantello scuro che copre integralmente la figura femminile, consentendo di vedere all’esterno solo attraverso una grata cucita davanti agli occhi. Il niqab è simile, se non fosse che lascia aperta una fessura per gli occhi. Una grande differenza verrebbe da dire, visto che talvolta gli occhi parlano più delle parole. Resta di fatto che sotto un bourqa o un niqab può nascondersi qualsiasi persona e sotto l’ampiezza della veste si può nascondere qualsiasi arma.
Possiamo ancora accettare di avere nelle nostre strade persone non identificabili? Non si tratta ovviamente di seminare sospetti o intolleranza ma di omologare la legge che vieta di andare in giro mascherati a tutte le categorie di persone esistenti sul territorio, senza sconti per alcuno.
La seconda ragione è di tipo culturale. Sappiamo bene che nel mondo islamico la donna soffre di un palese trattamento di inferiorità. Nei giorni scorsi, mentre i mullah gridavano scandalizzati per la rovina del Paese, l’Arabia Saudita ha concesso alle donne il permesso di guidare l’auto e di entrare negli stadi quando si tengano degli incontri culturali. Il mondo ha esultato per la conquista. Ma la risposta migliore sarebbe stata una pernacchia contro una cultura che mortifica la dignità della donna oltre ogni misura accettabile. E nell’umiliazione del genere femminile rientra anche l’obbligo di imprigionarla dentro questi scafandri, dove la si nasconde per farne oggetto esclusivo del solo maschio dominante.
Ebbene, al di là delle ragioni di sicurezza, è questa cultura della donna che noi non possiamo permettere che entri nel tessuto delle nostre democrazie. Neppure per farci anche soltanto l’abitudine, che è il primo gradino dell’accettazione implicita.
Tra non molti anni queste persone verranno a votare insieme a noi e la loro crescita lascia presagire che entro poco tempo si faranno portatrici di istanze non esattamente conciliabili con i nostri principi sociali e costituzionali.
Fare chiarezza fin d’ora è l’unico sistema per creare integrazione evitando i conflitti domani. Una sorta di linea del Piave culturale, che potrà sembrare rigida, ma che è l’unica condizione per non tornare indietro con la storia.

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