Il Fatto di Bruno Fasani
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Il laicismo peloso di chi non vuole i presepi

Diciamocelo fuori dai denti e una volta per tutte. Quando sentiamo di insegnanti, presidi, responsabili vari che si oppongono all’allestimento dei presepi in prossimità del Natale, in nome del rispetto degli alunni di altra religione, sappiate che le altre religioni non c’entrano niente...

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Diciamocelo fuori dai denti e una volta per tutte. Quando sentiamo di insegnanti, presidi, responsabili vari che si oppongono all’allestimento dei presepi in prossimità del Natale, in nome del rispetto degli alunni di altra religione, sappiate che le altre religioni non c’entrano niente... E, in effetti, tra loro non avete mai sentito uno che abbia protestato. Vuoi perché Gesù è figura universale, amata da tutte le religioni monoteiste a prescindere dalla fede, vuoi perché il messaggio di pace che sprigiona questa festa è entrato nel costume universale, come patrimonio condiviso.
Non c’entrano neppure gli atei intelligenti. E in giro ce ne sono. Quelli che, pur non professandosi credenti, del cristianesimo condividono la cultura e le tradizioni che da esso sono fiorite. Se non altro per la consapevolezza che dal suo tronco sono scaturiti i principi che stanno alla base delle moderne democrazie. Ho fior di amici che si professano atei, ma che possiedono splendide collezioni di presepi e non perdono occasione per acquistarne di nuovi, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione.
Lasciati dunque in pace ebrei, musulmani, induisti… e atei intelligenti, restano sul campo i malmostosi, gli anticlericali da gastrite, quelli convinti che eliminando i segni religiosi dalla nostra cultura andremo veloci verso una civiltà finalmente libera e laica. Laicità, laicità, laicità… un eufemismo usato come coperchio, sotto il quale si nascondono ideologie e sentimenti vari per i quali non ci si mette la faccia, analogamente a quanto succede nei fenomeni di rimozione, quando si parla d’altro per occultare la verità. E così la laicità, strumentalizzata per altri fini, diventa il mantra per intelligenze che hanno la consistenza del tutolo della pannocchia. Penso che il momento che stiamo attraversando imponga a tutti un ripensamento del valore della nostra identità culturale. Non tanto o non soltanto per spirito di opposizione al fondamentalismo, che tanto ci fa paura. Che pure è un sentire da parte di molti che va registrato. Dobbiamo chiederci, infatti, per quali ragioni i sondaggi stanno facendo schizzare in alto il consenso per i partiti ad alta connotazione identitaria. Sta accadendo in Francia, ma anche in Spagna e tanti altri Paesi europei. E lo ha capito molto bene anche la Destra di casa nostra. Personalmente non credo che questo radicamento nella nostra identità debba nascere per motivi di difesa, ossia perché ci sentiamo minacciati nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni. In positivo dobbiamo scoprire che è solo conservando questa nostra identità che potremo metterci in dialogo con la diversità delle altre culture. Giusto per fare un esempio, immaginate cosa accadrebbe se rinunciassimo a parlare la nostra lingua per rispetto di chi parla una lingua straniera. Non solo finiremmo per non sapere più come comunicare ma anche per lasciare campo libero perché un altro idioma si imponga sul nostro territorio. Ai maestri, presidi e insegnanti, che in nome della laicità chiedono la rinuncia alle nostre tradizioni, dobbiamo dire che sgombrare il campo da queste tracce, non vuol dire eliminare i condizionamenti religiosi sulla cultura. Vuol dire semplicemente mettere le premesse perché siano altri credo, con più forte identità, a prendere il posto di chi si è battuto in ritirata. E allora la domanda si fa obbligatoria: sarà una strisciante islamizzazione a rendere culturalmente più evoluta e più vivibile l’Italia? Se pensano così, ce lo facciano sapere.

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