Il Fatto di Bruno Fasani
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Bisogna pensare positivo sia pure con tanta paura

Oggi le chiamano fake news, ossia notizie false. Cosa si nasconda sotto il cappello che portano in testa è tutto da indagare. Tanto più che dietro a quel generico false si cela proprio di tutto. False dichiarazioni scientifiche, notizie per sentito dire, giornalisti che sostengono tesi funzionali ai partiti per i quali sono a libro paga, burle da quattro soldi, dichiarazioni di uomini politici, preoccupati di salvare la poltrona più che la faccia e, non ultimo, la mitragliata di balle che ogni giorno su Facebook mette in circolazione il peggio della creatività malata di tanti suoi frequentatori...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Fake News (4)

Oggi le chiamano fake news, ossia notizie false. Cosa si nasconda sotto il cappello che portano in testa è tutto da indagare. Tanto più che dietro a quel generico false si cela proprio di tutto. False dichiarazioni scientifiche, notizie per sentito dire, giornalisti che sostengono tesi funzionali ai partiti per i quali sono a libro paga, burle da quattro soldi, dichiarazioni di uomini politici, preoccupati di salvare la poltrona più che la faccia e, non ultimo, la mitragliata di balle che ogni giorno su Facebook mette in circolazione il peggio della creatività malata di tanti suoi frequentatori.
Le chiamano fake, ma è solo un eufemismo per incartare la realtà, nascondendone di fatto la gravità morale, come quando sopprimiamo una vita chiamandola buona morte o semplice interruzione di gravidanza.  Insomma, poco più di un clic.
Il Codice di Hammurabi, risalente a 18 secoli prima di Cristo, considerato il testo base del diritto babilonese, metteva al primo posto del suo ordinamento il divieto di affermare il falso. Per venire un po’ più vicino a noi, ma non troppo, c’è un comandamento tra le leggi morali degli ebrei, l’ottavo per l’esattezza, che obbliga nello stesso senso. E si tratta di due testi che hanno il valore di vere e proprie costituzioni sulle quali stavano in piedi le rispettive società di appartenenza. E se è vero che l’ottavo comandamento valeva innanzitutto in ambito giudiziario, quando il testimone poteva far condannare a morte una persona con le sue dichiarazioni, è pur vero che ben presto esso finì per interessare tutte le relazioni personali, dentro e fuori dai tribunali.
Il motivo di tanta rilevanza morale e sociale sta in quanto sosteneva il filosofo ebreo medievale Maimonide, quando diceva che “ci sono tre cose che impediscono all’uomo della terra di far parte del futuro: l’omicidio, l’incesto e la menzogna”. E la ragione è semplice. Dietro questi crimini si distrugge di fatto la relazione umana. Con l’omicidio quella fisica, con l’incesto la diversità dell’altro in ambito affettivo, preso solo come oggetto di piacere. Con la menzogna si distrugge la comunicazione.
E allora, facendo il verso a Maimonide, ci chiediamo: quale futuro può avere una società di persone dove la menzogna, il prendersi gioco dell’altro attraverso la falsità, sembra diventato uno sport che brucia la fiducia sulla quale dovrebbe sostenersi il vivere sociale? Perché quando viene meno il fidarsi, è allora che comincia il tempo della paura. La paura è sempre figlia di un vuoto di fiducia. Ed è un sentimento che prova il bambino quando non sente più la presenza rassicurante dei genitori, la prova l’imprenditore o l’industriale quando non crede più di poter uscire dal tunnel della crisi, la prova l’uomo che perde la fede e non sa più in quali braccia gettarsi, la vive drammaticamente chi teme di perdere la persona amata o il proprio caro dentro casa.  E quando fiorisce la paura dentro l’animo, c’è posto solo per la disperazione e per l’aggressività della violenza con cui ci si difende.
Vero e falso non possono essere letti esclusivamente come dati tecnici da prendere o lasciare. La parola va ricondotta a ciò che realmente può fare, ossia la capacità di mettere insieme o di separare. Dire il falso è sempre un modo per dominare gli altri, manipolarli, indebolirli per piegarli alle nostre cause. Ecco perché tornare a interrogarsi sull’ottavo comandamento è forse urgente quanto dibattere di economia. Dice un proverbio arabo che la parola prima di uscire dalla bocca dovrebbe passare tre porte, sui cui stipiti sta scritto: è vera? È necessaria? È buona?

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