Ex Cathedra
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I promessi sposi vanno eliminati dal percorso scolastico?

L’anno prossimo sarà il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, avvenuta a Milano il 22 maggio del 1873...

Parole chiave: Ex Cathedra (34), Lino Cattabianchi (16), Promessi sposi (3)

L’anno prossimo sarà il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, avvenuta a Milano il 22 maggio del 1873. Un anniversario, come tutte le ricorrenze, che ci obbliga in qualche modo a fare i conti con un’eredità spesso contestata, giudicata ingombrante e qualche volta da respingere in tutto e per tutto. È il caso del recente intervento del filosofo Umberto Galimberti che ha sentenziato: «Siamo stati anche educati malissimo. Io sono del parere per esempio che bisogna far smettere di leggere ai ragazzi I promessi sposi. Ve lo dico sinceramente. Perché, cosa succede? È un romanzo bellissimo, scritto in una maniera folgorante, una grande letteratura, ma non puoi dare a un ragazzo, a un ginnasiale, il messaggio che quello che conta nella storia lo fa la Provvidenza e tu non conti un tubo. Ma che discorsi sono questi? Tu conti nella misura in cui agisci nel mondo e nella storia! Ecco, questo messaggio che c’è comunque un disegno superiore che risolve tutti i problemi, ma non c’è questo disegno: o ti dai da fare o ti dai da fare!». Fin qui Galimberti, che propone di togliere del tutto I promessi sposi dal percorso educativo. Strano, perché Radio 3, nella sua bellissima trasmissione pomeridiana Ad alta voce, ha appena concluso una lettura integrale del romanzo, a cura dei migliori attori del teatro italiano e cito, uno per tutti, il grande Massimo Popolizio. Qualche decina di puntate per arrivare al confronto, cauto ma pieno di gioia, di Renzo, di ritorno da Milano, con la buona Agnese, ancora al suo paese, con tutte le monete d’oro che le aveva fatto arrivare l’Innominato, a saldo delle sue malefatte nei confronti di Lucia, rapita e poi liberata dal castello “a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti” (cap. XX). Sembra un identikit di questo misterioso personaggio, divorato dall’insoddisfazione. “Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, un cotal tedio delle sue sceleratezze” (ibidem): l’uggia lo prende quando deve cominciare le operazioni del rapimento e non lo molla più fino all’incontro col cardinale Federigo Borromeo.

Non riesco a capire, dopo molte letture sovrapposte di anno in anno, che tengono quindi conto anche del tempo che passa e della diversa percezione che ne nasce, l’uggia di molti nei confronti de I promessi sposi. Credo che, se mai romanzo fu complesso, quello del Manzoni si distingua per complessità, combinando tuttavia elementi narrativamente scontatissimi come quello della fanciulla rapita. È la complessità del contesto il dato che rende unica la tessitura de I promessi sposi, a buona ragione indicato come il romanzo fondativo della nostra letteratura. Certo, il canone con cui si deve fare i conti è sempre quello della tradizione letteraria che, da Dante a Petrarca, passa per il Quattrocento degli umanisti, il Cinquecento di Ariosto e Machiavelli, il Seicento di Galileo e del Barocco, il Settecento di Parini e dell’Illuminismo, l’Ottocento delle primavere dei popoli e dell’anelito romantico alla libertà. Un canone rispettabilissimo, che dovremmo amare di più. Non abbiamo francamente nulla da invidiare agli altri. Provate a toccare ai francesi un autore fondamentale, che so il Victor Hugo de I miserabili, o ai tedeschi un soggetto di tutto rispetto come il Faust di Goethe o agli spagnoli un Cervantes e il suo Don Chisciotte della Mancia, il cavaliere dalla triste figura. Vi prenderanno per matti, perché in questi autori sta l’identità nazionale di quei popoli. Questo giochetto, però, senza fiatare, si fa sbrigativamente con Manzoni: basta I promessi sposi, tutto moralismo cattolico della peggior risma, da Gramsci in poi, e, “per li rami” (Dante, Purg. VII, 121), dai suoi epigoni. Ma ritorno al concetto di complessità che sembra estraneo al giudizio semplificatorio di Galimberti. Le azioni dei personaggi, per quanto semplici e individuali, sono connesse al contesto del loro ambiente e della loro realtà: nessuno agisce da solo, nemmeno don Rodrigo, che morirà nella solitudine più cupa. La sua morte, nella complessità della peste e del mistero del male, è il suggello de I promessi sposi, la misura della tragicità della vita. Ne era ben consapevole il Manzoni che, dopo queste vicende, fa assumere alla storia un tono leggero, quasi da commedia, che riporta tutto a misura nel gran teatro della vita.

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