Ex Cathedra
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Don Walter, il direttore dallo sguardo penetrante e dal sorriso sornione

I debiti, si sa, vanno pagati. E questo “Ex Cathedra” è una cambiale che prima o poi dovevo passare all’incasso...

Don Walter, il direttore dallo sguardo penetrante e dal sorriso sornione

I debiti, si sa, vanno pagati. E questo “Ex Cathedra” è una cambiale che prima o poi dovevo passare all’incasso. Come sono arrivato al Maffei dalle scuole medie di Pescantina, l’ho raccontato in precedenti interventi e anche come, entrato nella redazione di Verona fedele, nel 1991, sia cominciata la mia avventura nei giornali di Verona e provincia. Ma manca un tassello: perché proprio Verona fedele e non un’altra testata, visto che ero, per i giornali, già vecchio di 38 anni e di solito si comincia prima, molto prima? C’è un particolare: don Walter Pertegato (1930-1997), il direttore di allora. Lo conoscevo di fama e lo avevo visto all’opera in una serata organizzata dal mio indimenticato parroco, don Severino Dal Dosso (1922-2008), uomo di profonda spiritualità e grande intelligenza. Aveva parlato della società, della sua evoluzione, della fatica di raccontarla, ma anche della necessità di illuminare fatti e persone con una luce particolare, quella del Vangelo. Mi aveva colpito di lui, in particolare, quando era accaduta il 2 novembre del 1975, la morte violenta di Pier Paolo Pasolini sul litorale di Ostia, il coraggio con cui, andando controcorrente, in un editoriale aveva accostato, senza giudicarla, quella vita con l’opera dei santi sociali veronesi dell’Otto-Novecento. “Se avesse trovato un santo non sarebbe finita così”, il tenore dell’articolo che dava un’interpretazione inedita a quel fatto e ai suoi contorni. Ero all’università e il fatto mi colpì moltissimo. Mi tornò alla mente quando, dalla corriera che mi portava a scuola, scendevo alla fermata della ex stazione della Verona-Caprino e di corsa mi fiondavo, cartella pesante e tutto, verso ponte Garibaldi, lungadige Riva battello, piazza Duomo, stradone Arcidiacono Pacifico e a metà, esattamente, incontravo un prete alto, con la talare, la sciarpa, gli occhiali, sempre ben pettinato, col fascio di giornali sottobraccio che mi incrociava. Un saluto di circostanza e via. Poi ho scoperto che don Walter, proprio lui, andava a dir Messa a Sant’Anastasia e, dopo la colazione, cominciava la giornata a Verona fedele. Metodicamente per quella strada, che aveva percorso per tanti anni: ventisette, prima come vicedirettore di mons. Aldo Gobbi, dal 1967 al 1971, e poi come direttore dal 1971 al 1993, non contando gli ultimi quattro come direttore emerito, fino al 14 novembre 1997, quando, una mattina, fu trovato morto nella sua stanza alla Casa del clero, dove aveva sempre vissuto. «Ho visto la povertà del servo di Dio», disse mons. Alberto Piazzi, allora prefetto della Biblioteca Capitolare, che aveva fatto visita all’amico defunto. Seppi della sua morte dalla telefonata che ricevetti da Valerio Locatelli, uno dei redattori del settimanale con cui dal 1991 avevo cominciato a collaborare. Mi resi conto all’improvviso che il tempo era passato: avevo superato di molto i quaranta, di don Walter mi restavano molti ricordi e toccai con mano che, forse, ero stato il suo ultimo figlio spirituale. Poco più di un anno prima, il 28 novembre del 1996, avevo perso altrettanto improvvisamente papà Primo. Due lutti a distanza ravvicinata che avrebbero modificato la situazione e cambiato i punti di riferimento. Crescere, ad un certo punto, significa cambiare i punti di riferimento. Ma quello che è stato non si cancella e forma la nostra memoria, cioè la nostra identità. La coscienza del proprio mestiere, l’umiltà di servire la Parola “che Dio ha scelto per venirci a trovare” (sono parole di don Walter) rimangono i due lasciti decisivi di quel prete che scriveva a mano, con la biro blu, nel suo ufficietto ingombro di carte. Uno sguardo penetrante, un sorriso sornione. Grazie don Walter.

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