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Il primo partito? Quello degli astensionisti...

C’è chi sostiene che nelle democrazie mature l’affluenza al voto è fisiologicamente bassa. Se è vero in Italia siamo così maturi che…

Parole chiave: Editoriale (380), Stefano Origano (141)

C’è chi sostiene che nelle democrazie mature l’affluenza al voto è fisiologicamente bassa. Se è vero in Italia siamo così maturi che… incominciamo pure ad andare a male. Il “Partito dell’astensione” è quello che ad ogni tornata guadagna i maggiori consensi. In alcune aree raggiunge la maggioranza assoluta scavalcando il 50% delle preferenze. Ma non è un partito omogeneo, infatti i motivi che portano ad aderirvi sono molteplici: si va dalla poca fiducia nei confronti della politica in generale (secondo l’Istat il gradimento da 1 a 10 raggiunge il 3,3), alla mancanza di politiche per i giovani; dalla critica radicale al sistema partitico, alle difficoltà logistiche di chi vive fuori sede; aggiungiamo una campagna elettorale confusa (manco le promesse elettorali erano fatte bene) e infine il sistema elettorale dove i candidati sono imposti dai capi di partito. Naturalmente tutti deprecano i difetti di questo sistema, ma le diverse coalizioni che si sono avvicendate durante la legislatura nulla hanno fatto per creare una legge elettorale migliore.
C’è un altro dato, secondario, ma che qualcosa dice: abbiamo i dati dell’affluenza alle urne relativi anche alle fasce orarie e da questi emerge che, fino a mezzogiorno, più o meno i votanti erano gli stessi della scorsa tornata, mentre verso sera c’è stato il crollo dell’affluenza ai seggi. Questo dato si potrebbe interpretare forse anche in questo modo: i fedeli cristiani sono andati alla Messa e poi sono passati a votare. Eh già, perché essere andati a votare anche questa volta è stato un vero e proprio atto di fede. E ce ne vorrà ancora di più per sperare che i nuovi eletti al Parlamento, seppur ridotti di numero, trovino la quadra per far uscire il Paese dal tunnel della crisi attuale.
Sempre i numeri statistici ci dicono anche che i disoccupati in percentuale sono coloro che si astengono di più; dunque è come il cane che si morde la coda: la politica non riesce a creare posti di lavoro e questa mancanza ingenera l’allontanamento dalla politica. Mi sembra una pericolosa deriva il fatto che, come afferma Riccardo Cesari, docente di matematica presso l’Università di Bologna, la povertà educativa ingeneri povertà economica e questa la povertà democratica. È dunque chiaro da dove si deve ripartire.

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