Editoriale
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Il momento della responsabilità

Nell’ultimo ventennio la politica è profondamente cambiata. Prima i partiti avevano il compito di moderare le pulsioni dell’elettorato cercando di governare in maniera più o meno responsabile...

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Nell’ultimo ventennio la politica è profondamente cambiata. Prima i partiti avevano il compito di moderare le pulsioni dell’elettorato cercando di governare in maniera più o meno responsabile. Ora si comincia a parlare di democrazie radicalizzate. Il populismo ne è una forma esemplare. E questo fenomeno spazza via i partiti tradizionali. La radicalizzazione degli elettorati in Occidente – come scrive il prof. Feltrin – non è per nulla terminata. Al contrario! Basta vedere ciò che accade in Usa, Francia, Gran Bretagna o in Germania.
Che sia un segno di crisi della democrazia non c’è dubbio, come uscirne nessuno lo sa. Diventa però essenziale non perdere di vista la chiave del problema e porsi la domanda giusta: l’ampio consenso che ottengono i partiti populisti dipende da ciò che promettono i loro leader? Oppure ha a che fare con la vita reale e i problemi concreti della gente? C’è da chiedersi come mai le istituzioni e la politica non riescano a dare risposta a insoddisfazioni così radicali negli elettori, le quali hanno a che fare con problemi quotidiani, come il reddito, la casa, il lavoro, la salute, i figli, gli anziani, la sicurezza...
Tutte la classi dirigenti occidentali, comprese quelle populiste, ogni volta che arrivano al potere – per usare un’espressione di papa Francesco – “perdono l’odore delle pecore”. E quando perdi quell’indole, è finita.
Oggi le classi dirigenti hanno un problema di rapporto con la “gente comune” sempre più evidente. E ha a che vedere con la capacità di dare risposta ai problemi di grandissime fette di popolazione. Certo, un tema complicatissimo, che però va affrontato: i motivi dell’insoddisfazione popolare crescente si concentrano sull’indifferenza della politica e delle istituzioni nei confronti delle difficoltà di chi non vive nelle zone Ztl e nei centri storici delle grandi città.
Gli italiani sono consapevoli di avere di fronte un periodo difficile: il Paese avanza verso i tremila miliardi di debito pubblico, la pandemia sembra non finire mai, il rialzo dei prezzi, l’inflazione, l’aumento dei tassi dei mutui e il crollo del potere d’acquisto. Hanno diritto a essere presi sul serio, e più ancora a non essere presi in giro.
È il momento di una politica coniugata al futuro, della responsabilità e dei doveri, come ha detto il cardinale Matteo Zuppi, e di un «rinnovato impegno dei cattolici a servizio del Paese».
È il momento di lavorare per far comprendere che la sintesi politica non è la somma algebrica delle singole istanze, ma piuttosto un guardare oltre i problemi presi uno per uno. Serve una visione complessiva.
Uscire insieme dalla crisi significa prendersi cura delle fasce più deboli della popolazione, cercare di lavorare per la pace a livello internazionale, pensare a forme di partecipazione e di welfare efficaci, attuare la transizione ecologica, cambiare il modello di sviluppo. Tutto ciò va fatto insieme.
La questione non è quindi la forma o il contenitore politico, ma il dovere e la responsabilità, anche per i cattolici, di coniugare un pensiero e tessere una mediazione in grado di riconnettere la politica alle persone, di riformare le istituzioni al servizio della gente, di dare ai giovani, agli imprenditori e alle famiglie motivi di orgoglio, di speranza e di impegno collettivo.
Mario Draghi, l’ultimo presidente del Consiglio, ci ha detto che bisogna mettere ordine nelle tante cose da fare. C’è infatti una gerarchia non più eludibile nei problemi. In sostanza è il momento di pensare la politica declinandola al futuro, senza più schiacciarla sul presente. E il futuro comincia presto. Prestissimo: il 25 settembre.

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