Condiscepoli di Agostino
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Un sottile nemico della santità: il neognosticismo

Già la Congregazione per la Dottrina della fede, nella sua lettera Placuit Deo aveva messo in guardia da due pericoli incombenti sulla fede cattolica: il neognosticismo e il neopelagianesimo. Il Papa nella sua Esortazione apostolica Gaudete et exsultate considera questi due fenomeni culturali come sottili nemici della santità, di “allarmante attualità”, come “proposte ingannevoli”, “in esse si esprime un immanentismo antropocentrico travestito di verità cattolica” (GE 35)...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (325), Vescovo di Verona (247), Gaudete et exsultate (17)

Già la Congregazione per la Dottrina della fede, nella sua lettera Placuit Deo aveva messo in guardia da due pericoli incombenti sulla fede cattolica: il neognosticismo e il neopelagianesimo. Il Papa nella sua Esortazione apostolica Gaudete et exsultate considera questi due fenomeni culturali come sottili nemici della santità, di “allarmante attualità”, come “proposte ingannevoli”, “in esse si esprime un immanentismo antropocentrico travestito di verità cattolica” (GE 35). Non ci spaventino le parole tecniche. Immanentismo, ad esempio, evoca il senso del vivere esclusivo sulla terra, senza alcun riferimento a Dio e al senso della trascendenza. Antropologico poi evoca il riferimento all’uomo. E prosegue: “Vediamo queste due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri” (ivi). In altre parole, si tratta di concezioni culturali che riguardano l’uomo nella sola sua dimensione storica terrena. Consideriamoli ad uno ad uno. A cominciare dal neognosticismo.
Lo gnosticismo dà importanza assoluta alla conoscenza (la parola greca gnosis significa conoscenza), come se l’uomo fosse costituito soltanto di mente “ingessata in una enciclopedia di astrazioni” (GE 37). La fede, di conseguenza, è fatta di ragionamenti ed esperienze di natura soggettiva (cfr. GE 37). Ma in definitiva, disincarnata come è, sceglie “un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo” (ivi). In realtà lo gnosticismo non va mai in profondità, si accontenta della superficialità. Il Papa lo definisce “vanitosa superficialità” (GE 38) che pretende di ingabbiare ogni conoscenza e di rendere perfettamente comprensibili tutti i dati della fede e del Vangelo, riducendo “l’insegnamento di Gesù ad una logica fredda e dura” (GE 39). In tal modo “vuole addomesticare il mistero, sia il mistero di Dio e della sua grazia, sia il mistero della vita degli altri” (GE 40). È come un tentativo di ritradurre in termini di razionalità pura tutti i dati della rivelazione, accogliendo quelli razionali e gettando via quelli che non sono compatibili con la ragione; la ragione ovviamente degli gnostici, alquanto superficiale, come annotato. In tal modo “alcune correnti gnostiche hanno disprezzato la semplicità così concreta del Vangelo e hanno tentato di sostituire il Dio trinitario e incarnato con una Unità superiore” (GE 43).
Papa Francesco, proprio in riferimento al tema di fondo dell’Esortazione, osserva acutamente che gli gnostici sono soggetti ad “una pericolosa confusione: credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della ‘massa ignorante’. San Giovanni Paolo II metteva in guardia quanti nella Chiesa hanno la possibilità di una formazione più elevata dalla tentazione di sviluppare ‘un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli’” (GE 45). Il Papa traccia la via maestra della santità di vita, che non esclude nessuna dimensione, ma coniuga la dimensione della conoscenza con quella della sua pratica: “Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile” (ivi).
Un santo come Francesco d’Assisi, annota il Papa, ebbe il sentore di tale pericolo, di scindere la conoscenza dalla pratica: “Egli riconosceva la tentazione di trasformare l’esperienza cristiana in un insieme di elucubrazioni mentali che finiscono per allontanarci dalla freschezza del Vangelo” (GE 46).

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