Condiscepoli di Agostino
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Ottimo sacrificio a Dio siamo noi stessi

Con la sua mente acuta, Agostino nel libro 19 della Città di Dio affronta numerose questioni, anche di carattere umano e sociale...

Con la sua mente acuta, Agostino nel libro 19 della Città di Dio affronta numerose questioni, anche di carattere umano e sociale. Affronta, ad esempio, il senso della giustizia nella società umana e in uno stato ben governato, nel quale i sudditi debbono essere sottomessi alle leggi. Tuttavia, solo la sottomissione a Dio è garanzia di vera sottomissione alle leggi giuste. Perché? Perché “se l’uomo non è sottomesso a Dio, si deve ritenere che in lui non c’è giustizia, in quanto è assolutamente impossibile che l’anima non sottomessa a Dio domini secondo giustizia il corpo e la ragione umana gli impulsi” (De civitate Dei 19,21.2). Dunque essere sottomessi a Dio è garanzia di un agire umano secondo giustizia. Ma quale Dio? Quello che anche i grandi scrittori come Varrone o filosofi come Porfirio hanno riconosciuto? O quello profetizzato e realizzato in Cristo? (Cfr De civitate Dei 19,22). Certo, anche Porfirio ha parlato di Dio, al quale attribuire sacrifici e onori. Ma quali onori?, obietta Agostino. Agostino fa subito il confronto tra il culto pagano e quello cristiano: “Non è difficile ad alcuno richiamare alla memoria le rappresentazioni oscene ed indecenti che si tenevano nei teatri e nei templi in ossequio agli dei e volgere l’attenzione ai riti, preghiere e discorsi che si svolgono nelle chiese e a ciò che si offre al Dio vero e dedurne dove si ha l’edificazione o la demolizione della moralità” (De civitate Dei 19,23.4). E poco più oltre Agostino arriva alle sue acute osservazioni riguardo al vero culto, espresso dai sacrifici. Anzitutto: “Il Dio vero e sommo non ha voluto che si sacrificasse ad alcuno se non a Lui” (De civitate Dei 19,23.5). Un secondo aspetto: ciò che offriamo a Dio non giova Dio, ma a chi lo offre: “Non perché Egli abbia bisogno di qualche cosa, ma perché conviene a noi essere suoi” (Ivi). Infine, ecco l’aforisma che illumina tutta la riflessione: “Il suo splendido e ottimo sacrificio siamo noi stessi, cioè la sua Città, il cui mistero celebriamo con le nostre offerte” (Ivi). Un testo che evoca pagine illustri del Concilio Vaticano II sul sacerdozio battesimale. Opportunamente Agostino ci identifica con la città di Dio, cioè con il suo popolo e non ci mette in risalto come singoli: siamo sacrificio come insieme, in quanto “Dio domina con la sua grazia su una città sottomessa, in modo che essa non offra sacrifici se non a Lui e perciò in tutti gli individui appartenenti alla medesima città e a Dio sottomessi, l’anima spirituale domini sul corpo e la ragione sugli impulsi” (Ivi). Il tutto, ovviamente, nel quadro dell’amore a Dio e al prossimo (Cfr Ivi).

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