Condiscepoli di Agostino
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Ogni creatura è una carezza di Dio

L’enciclica Laudato si’, mentre giustamente esalta la grandezza dell’uomo, vertice del creato, immagine e somiglianza di Dio, non intende sminuire il valore di ogni opera della creazione: “Ogni creatura ha una sua funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” (84).

Parole chiave: Zenti (32), Parliamoci da cristiani (6), Laudato si' (24)

L’enciclica Laudato si’, mentre giustamente esalta la grandezza dell’uomo, vertice del creato, immagine e somiglianza di Dio, non intende sminuire il valore di ogni opera della creazione: “Ogni creatura ha una sua funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” (84).
Non di rado si parla opportunamente della natura come un libro di Dio. E così fa l’enciclica: Dio ha scritto un libro stupendo, “le cui lettere sono la moltitudine di creature presenti nell’universo” (85). Un’altra precisa definizione della natura merita di essere evidenziata, quella dell’essere una rivelazione del divino: “Dai più ampi panorami alle più esili forme di vita, la natura è una continua sorgente di meraviglia e di riverenza. Essa è, inoltre, una rivelazione continua del divino” (Ivi). Di fronte a tanta bellezza non resta all’uomo che mettersi in contemplazione per intercettarne i messaggi: “perché, «per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa»” (Ivi). Ne consegue una affermazione che non può non lasciare colpiti, quasi increduli, per il paragone che ne viene enunciato: “Possiamo dire che accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte”. (Ivi). L’enciclica aggiunge una ulteriore osservazione per rilevare la ricaduta benefica che ha l’attenzione dell’uomo alla natura: “Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature: […] «io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo»” (Ivi).
L’insieme delle cose create concorre a mettere in risalto la bontà e l’onnipotenza di Dio, che le singole creature da sole non sono in grado di manifestare (cf 86). Nello stesso tempo l’enciclica sottolinea l’interdipendenza di tutte le creature tra di loro (cf ivi): “Il sole, la luna, il cedro, l’aquila e il passero” (Ivi). Chiunque si rende conto del valore delle creature come orma di Dio, con san Francesco è chiamato per tanto a cantare: «Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature» (87). La stessa enciclica non teme di ricordare che le creature sono anche luogo di presenza di Dio, si potrebbe dire un suo piccolo tabernacolo. Vi dimora lo Spirito Santo. Di conseguenza, proprio attraverso le creature possiamo entrare in comunione con Lui (cf 88).
Certo, le creature non sono un valore in sé e nemmeno un “bene senza proprietario” (89). Segue una osservazione che ha la forza di una provocazione: “Essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti tutti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che «Dio ci ha uniti tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione»” (Ivi). All’uomo, ad ogni uomo, va comunque riconosciuta una dignità superiore, per cui le diseguaglianze non sono tollerabili. Non è tollerabile “che alcuni si considerino più degni degli altri” (90). E mentre troppi si trascinano nella miseria “altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé uno spreco tale che sarebbe impossibile generalizzare senza distruggere il pianeta. [...] Alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti” (Ivi).
Va da sé che di tenerezza, compassione e cura ha bisogno l’uomo ancor prima che gli animali, benché se ne debba salvaguardare l’esistenza. Allora sarà più facile sentirsi tutti in relazione, tutti uniti “tra di noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra” (92).

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