Condiscepoli di Agostino
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Le tentazioni della vanità e del plauso

Tra le varie tentazioni che aggrediscono l’uomo e da cui lo stesso sant’Agostino non è stato immune, per ragioni anche plausibili, è quella di lasciarsi coinvolgere nelle cose banali e futili, fino al punto da provarne gusto, anche se inizialmente controvoglia...

Tra le varie tentazioni che aggrediscono l’uomo e da cui lo stesso sant’Agostino non è stato immune, per ragioni anche plausibili, è quella di lasciarsi coinvolgere nelle cose banali e futili, fino al punto da provarne gusto, anche se inizialmente controvoglia. Il pericolo più incombente è connesso con le distrazioni durante la preghiera, disturbata proprio da pensieri futili: “Quante volte per non offendere i deboli, dapprima per così dire tolleriamo chi narra cose futili, poi un po’ alla volta volentieri prestiamo l’orecchio... altro è rialzarsi subito altro è non cadere. Di queste cose la mia vita è piena e la mia unica speranza è la tua assai grande misericordia. Quando il nostro cuore diventa ricettacolo di cose del genere e porta caterve di abbondante vanità, proprio per questi motivi le nostre preghiere spesso si interrompono e sono sottoposte a turbolenze e davanti al tuo cospetto, mentre indirizziamo la voce del cuore alle tue orecchie, una realtà così importante (la preghiera) viene interrotta da pensieri irruenti e futili”.
Un’altra tentazione: l’autogiustificazione, talmente radicata da essere definita da sant’Agostino una libidine, cioè una bramosia incontenibile. Nel contempo, riconosce di essere stato risanato dalla tentazione più radicale e perniciosa della superbia: “Tu sai in quanta parte di me mi hai mutato, Tu che in primo luogo mi risani dalla libidine di giustificare me stesso... a partire dal timore a Te dovuto hai domato la mia superbia e hai reso mansueta al tuo giogo la mia cervice”.
Si domanda tuttavia se in lui era stata cancellata la tentazione di essere amato e temuto per il solo gusto di essere amato e temuto. Riconosce comunque che anche questo atteggiamento altro non è se non il frutto bacato dell’ostentazione: “È cessato da parte mia il voler essere temuto ed essere amato da parte degli uomini non per altro motivo se non per capire dove stia il gaudio che poi non è gaudio? Misera vita e disgustosa ostentazione”.
Ma sant’Agostino è un pastore d’anime. Essere amato è condizione per l’efficacia stessa della sua opera di evangelizzazione. Eppure riconosce la possibile insinuazione di Satana: appropriarsi della gloria dovuta a Dio, proprio per avidità di plauso: “Pertanto, poiché a causa di alcuni doveri della convivenza civile ci è necessario essere amati ed essere temuti dagli uomini, ci incalza l’avversario della nostra vera beatitudine, spargendo ovunque nei lacci un ‘bravo, bravo!’, in modo che, mentre li raccogliamo con avidità, incautamente ne rimaniamo catturati e deponiamo il nostro gaudio dalla tua verità e lo poniamo nelle menzogne degli uomini, e ci sia lecito essere amati ed essere temuti non per Te, ma al posto di Te... Sii Tu la nostra gloria; fa’ che siamo amati per Te e la tua parola sia venerata in noi”.
A questo punto sant’Agostino mette in guardia dall’uso smodato della parola, paragonando la lingua ad una fornace che tutto brucia. E perciò chiede a Dio la grazia di saper misurare le parole con la virtù della continenza che non riguarda esclusivamente la sessualità, ma anche la parola, nella sua inclinazione alla loquacità: “La nostra lingua di uomini è una fornace quotidiana. Tu ci comandi la continenza anche in questo genere di cose: ‘da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi’”.
Un’ulteriore tentazione: l’amore della lode, che va a mendicare i consensi di ogni genere, dimenticando le esigenze della verità a cui solo servire: “Il discorso che procede dalla bocca e i fatti che diventano noti agli uomini implicano la tentazione pericolosissima che proviene dall’amore della lode, il quale amore, pur di assicurarsi una certa individuale eccellenza, cerca di raccogliere consensi mendicati”.

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