Condiscepoli di Agostino
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Comunione sì, comunione no! Ed altro!

Papa Francesco, a nome della Chiesa che mira a coinvolgere oggi nel suo sentire verso l’uomo ferito nel corpo e nello spirito, verso i poveri di denaro, di valori morali e di cultura, va incontro a chi è in difficoltà, per criticità familiari, fino alle estreme possibilità, per offrirgli la sua mano paterna.

Parole chiave: Amoris Laetitia (21), mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo di Verona (245), Comunione (4), Eucaristia (2)

Papa Francesco, a nome della Chiesa che mira a coinvolgere oggi nel suo sentire verso l’uomo ferito nel corpo e nello spirito, verso i poveri di denaro, di valori morali e di cultura, va incontro a chi è in difficoltà, per criticità familiari, fino alle estreme possibilità, per offrirgli la sua mano paterna. Sì è discusso a lungo sulla sua apertura alla comunione ai divorziati risposati. In realtà non spalanca la porta dell’accesso indiscriminato ai Sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia a chiunque ne faccia richiesta, e in qualsiasi condizione spirituale si trovi a vivere, come hanno sbandierato i media, ma, in forma eccezionale, per chi sia “soggettivamente in grazia di Dio”, come può risultare da un accurato discernimento (cfr le due note 336 e 351, nelle quali il Papa ricorda che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia di Dio. Ugualmente segnala che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli). Traendo le conseguenze dei contenuti dell’ottavo capitolo, è lecito dedurre quanto meno che esso può diventare una opportuna ed interessante palestra di discernimento, con i conseguenti approfondimenti, tra pastori d’anime, guide spirituali, confessori, esperti in dogmatica e in teologia morale.
A margine del possibile approfondimento, come Vescovo della mia Diocesi oso porre la domanda, spero chiarificatrice: qual è lo scopo della Comunione, in quanto Corpo e Sangue sacramentale di Cristo? A chi di fatto giova? Lo scopo è quello di trasformare chi la riceve in Eucaristia. Di conseguenza, giova ad un credente, pur peccatore, interessato e deciso a vivere in modo sintonizzato con il senso stesso dell’Eucaristia, nella disponibilità a lasciarsi continuamente convertire, cioè risanare interiormente, e nutrire per vivere da vero figlio di Dio, pur se esposto ai rischi dell’infedeltà. Questa precisazione vale per tutti i casi e non solo per i divorziati risposati. A che gioverebbe di fatto il fare la comunione per un bestemmiatore incallito che non intende correggersi, ad un mafioso, ad un adultero recidivo, ad un politico corrotto...? Salvo i casi che emergono significativi da un discernimento serio, ad un divorziato risposato può giovare di più la preghiera, personale e familiare, l’ascolto della Parola specialmente nella Messa, un atto di generosità e di solidarietà verso i poveri, l’impegno della educazione umana e cristiana dei figli, la testimonianza di senso della professionalità... La medesima obiezione può essere opportunamente mossa nei confronti della Confessione, il cui valore è quello del risanamento interiore in chi ne è disposto. Per gli altri, indisponibili alla “conversione”, sarebbe solo un rito, ma non un Sacramento efficacemente celebrato.
Certo, papa Francesco avverte la posta in gioco su questo nodo. Di conseguenza, precisa: “Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio (ciò vale anche per chi è regolarmente sposato!) il progetto di Dio in tutta la sua grandezza [...]. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” (AL 307).
“Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – segue che, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. […] Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito Santo sparge in mezzo alla fragilità; una madre che, non rinuncia al bene possibile. Benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada” (AL 308). La Chiesa vuole andare incontro a tutti, senza escludere nessuno (cfr AL 309). Tutti siamo chiamati a vivere la misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia, che è l’architrave che sorregge la vita della Chiesa; non comportarci da controllori ma da facilitatori della grazia. La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa, proprio come nelle parrocchie dove ci stanno tutti, non i selezionati (cfr AL 310).
In conclusione, occorre leggere e rileggere questo ottavo capitolo, senza mai azzardarsi di affermare più di quanto il Papa dichiara, senza fargli dire ciò che non intende dire, semplicemente perché resta Lui il Pietro di oggi, il garante dell’autenticità della fede per il nostro tempo.

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