Condiscepoli di Agostino
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Agostino monaco e pastore d’anime

Dopo dieci mesi trascorsi a Roma, finalmente Agostino poté salpare alla volta di Tagaste, dove possedeva un piccolo appezzamento di terra lasciato in eredità dal padre. Ormai però era tutto proteso a vivere da consacrato a Dio.

Parole chiave: Condiscepoli di Agostino (104), Sant'Agostino (187), Mons. Giuseppe Zenti (325)

Dopo dieci mesi trascorsi a Roma, finalmente Agostino poté salpare alla volta di Tagaste, dove possedeva un piccolo appezzamento di terra lasciato in eredità dal padre. Ormai però era tutto proteso a vivere da consacrato a Dio. E a tal fine cercava un luogo dove costruire un monastero nel quale ritirarsi con alcuni amici. Nella cittadina di Ippona. In quella occasione gli capitò di entrare di domenica nella basilica Pacis, la cattedrale della città. Era la primavera del 391. Il vecchio vescovo Valerio, di origine greca, stava chiedendo che gli fosse presentato un uomo da ordinare presbitero per aiutarlo nella predicazione. La gente che aveva riconosciuto la presenza di Agostino non ebbe dubbi. Lo afferrò, lo sollevò e lo portò davanti al Vescovo. Agostino si mise a piangere. Interpretarono il pianto come emozione di felice consenso, mentre Agostino era nella disperazione. Non ci fu niente da fare. Fu ordinato presbitero: “S’impadronirono di lui e, come si usa in tali casi, lo presentarono al Vescovo perché l’ordinasse. Tutti, con unanime consenso e desiderio chiedevano che così si facesse, ripetendo tali istanze con grande ardore e alte grida. Egli piangeva dirottamente. […] Ma infine si compì, come essi volevano, il loro desiderio”. E per la stessa strada della coercizione fu fatto Vescovo coadiutore di Valerio nel 395 e, alla sua morte, Vescovo di Ippona. Mentre però riteneva una grande gioia essere cristiano con i cristiani, sentiva come un peso l’essere Vescovo che lo obbligava a rendere conto a Dio non solo di se stesso ma anche dei suoi fedeli.
Monaco e vescovo. Ma come poteva coniugare il suo impegno di monaco, e per di più responsabile della vita del monastero, con il dovere di pastore? Fu questa una delle principali fatiche che portò sulle sue spalle per quarant’anni, fino alla morte avvenuta il 28 agosto del 430. In una attività che ha dell’incredibile. La legislazione imperiale aveva incaricato i vescovi di affrontare da giudici la cause minori, come una sorta di giudici di pace. E Agostino dovette riservare tante ore ad ascoltare litigi tra vicini, tradimenti di coniugi... In tutto e per tutto si poteva dire, con papa Francesco, che aveva l’odore delle pecore intriso nel suo animo. Tenne discorsi e omelie al suo popolo. Anche più volte la settimana. Dovunque era chiamato si recava per la predicazione. I suoi interventi erano registrati da tachigrafi. Ma nel frattempo componeva opere di forte spessore culturale e teologico che lo tennero impegnato parecchi anni, come il De Civitate Dei e il De Trinitate, oltre, ovviamente, alle Confessiones. Da notare infine che gli si deve riconoscere il genio di toccare argomenti di altissima speculazione, espressi con un linguaggio elevato, tale da mettere alla prova i più dotti e da lasciarli persino smarriti, ma espressi anche in termini popolari e rivestiti di esempi e aneddoti da farsi capire dal suo popolo, fatto di pescatori, pastori e contadini. E, non ultimo tra i suoi meriti, cercò a tutti i costi la via del confronto dialogico con eretici e scismatici, per ricondurli, portando loro le ragioni che convincessero della bontà della proposta, a far ritorno alla Madre Chiesa.
Lo ha fatto da pastore. Portando in animo la passione per la Chiesa per opera della quale, pensiamo in primo luogo ad Ambrogio, aveva coscienza di essere stato lui stesso salvato dal naufragio del non senso del vivere. Alla Chiesa Agostino fu sempre riconoscente. E ne cantò le lodi da innamorato. Tante delle sue opere, da quelle poderose ai più semplici interventi, messe insieme, potrebbero costituire una sinfonia della Chiesa.

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