Commento al Vangelo domenicale
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Una comunità radunata attorno a Colui che era, è e verrà

Matteo 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Parole chiave: Vangelo (413), Domenica (56), Parola (13), Don Adelino Campedelli (78)

Con questa domenica, prima di Avvento, inizia il nuovo anno liturgico, durante il quale ci verrà proposta la lettura continuata del vangelo di S. Marco, eccetto qualche domenica di quaresima e dell’estate, nelle quali vengono proposti brani del vangelo di S. Giovanni.
L’Avvento è tempo di attesa e di speranza e l’umanità ha sempre bisogno di sperare e oggi ne sentiamo l’esigenza in modo particolare. È utile per questo richiamare le parole profetiche del Concilio Vaticano II: «Il mondo si presenta oggi potente e a un tempo debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre si apre dinanzi la strada della libertà e della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio» (Gaudium et spes 9).
A prima vista potrebbe sembrare strano che l’Avvento, associato inevitabilmente al Natale, inizi invece con uno sguardo che dal tempo presente si rivolge al futuro, con quel verbo insistito nella Parola di Dio - “vegliate” - con il suo forte richiamo ad un presente attento al futuro, come si esprime il passo della prima lettera ai Corinti che viene proclamata oggi: « La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Cor 1,6-8).
È un fatto che possiamo costatare facilmente che l’ambiente in cui viviamo si riempie di simboli natalizi o presunti tali anche prima dell’inizio dell’Avvento e tutto appare proiettato a vivere un giorno di forti sentimenti, per chi ci crede almeno un po’, legato alla nascita del Bambino Gesù, passato il quale tutto sembra terminare e chiudersi in un brevissimo periodo di tempo, senza che si senta la necessità di comprendere se questo avvenimento ha la capacità di portare significati a tutta la nostra vita.
È interessante notare come nel brano della prima lettera ai Corinti sopra citato la comunità cristiana è caratterizzata come composta da coloro che aspettano la manifestazione del Signore; ora manifestazione è la traduzione della parola greca epiphaneia e nel mondo ortodosso il centro delle celebrazione natalizia non è solo la memoria della nascita di Cisto, ma soprattutto la sua manifestazione: al Battista nel battesimo, ai discepoli nelle nozze di Cana e alle genti, nell’adorazione dei Magi.
L’attesa della manifestazione del Signore nella sua dimensione finale del tempo e della storia ha assunto nella celebrazione liturgica e nell’iconografia un aspetto particolarmente suggestivo, chiamato “etimasia”: nei suoi elementi essenziali riproduce un trono vuoto, sormontato da una croce; vi si può trovare anche il Libro della Scrittura o la rappresentazione dell'agnello apocalittico. Sta a significare presenza invisibile di Cristo nei luoghi di riunione liturgica. Il trono è quindi quello di Cristo. Verrà da lui occupato al suo ritorno sulla terra per il giudizio universale. Gli attributi del trono comprendono a volte anche un cuscino, sul quale è deposto il mantello da giudice. Si ha così un chiaro riferimento al giudizio finale, richiamato anche dalla presenza di un libro chiuso, il libro della vita, che sarà aperto alla fine. La Croce e gli strumenti della Passione rimandano all'azione salvifica di Cristo.
Il vegliare pertanto non si limita alla preparazione della festa del Natale, ma è un forte richiamo che coinvolge tutta la vita a partire dal presente vissuto intensamente, da svegli, come il portinaio del vangelo, in modo da essere trovato pronto alla venuta, non prevedibile, del padrone.
Nella parte precedente al nostro brano evangelico, i discepoli avevano interrogato il maestro circa il “quando” si sarebbero realizzati gli avvenimenti a cui faceva cenno Gesù, ma l’evangelista Marco vuole allontanare l’attenzione dei suoi lettori dal “quando” per focalizzarla sulla “persona” di Gesù, sul suo ritorno e la piccola parabola contenuta nel vangelo di oggi è organizzata in tre “tempi”, appunto per significare il ritmo della vita cristiana: il tempo in cui sono affidate delle responsabilità, il tempo dell’attesa e il tempo del ritorno del Signore, con l’invito “vegliate” ripetuto quattro volte, ad indicare l’importanza fondamentale di tenere fisso lo sguardo sul Signore Gesù, invisibile ma pur sempre presente con il suo Spirito Santo nella Chiesa e nel mondo.
Per concludere possiamo allora considerare il “vegliare” come un processo di conversione che si snoda attraverso questi momenti: penetrare nelle zone non evangelizzate di noi stessi, vivere con intensità straordinaria il presente, allenare gli occhi del cuore a cogliere i segni della venuta del Signore nella storia, divenire segni del Regno, concretamente questo significa avere gli occhi aperti, il cuore desto e le mani operose. Solo così potremo celebrare in pienezza la memoria della venuta del Signore nella storia umana e vivere intensamente il presente con lo sguardo pieno di fiducia e di speranza nel compimento glorioso della nostra storia personale e nella storia dell’umanità intera.

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