Commento al Vangelo domenicale
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«Sei tu il re dei Giudei?» «Tu lo dici: io sono re»

Giovanni 18,33-37

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

La solennità di Cristo re dell’universo, originariamente collocata all’ultima domenica di ottobre, era stata istituita nel 1925, al termine dell’Anno Santo, per affermare la sovranità di Cristo in contrapposizione ai sovrani terreni e per affermarne la superiorità anche sociale. Con il Concilio Vaticano II la solennità è stata opportunamente collocata a conclusione dell’anno liturgico e con la forte sottolineatura del carattere spirituale del regno di Cristo, non in concorrenza con poteri umani ma superiore ad essi, non nel domino ma nel servizio all’uomo.
Dato che il Vangelo di Marco, che ci ha accompagnato in quest’anno liturgico B, non offre brani che illustrino adeguatamente la regalità di Gesù, la liturgia ricorre di nuovo, come ha fatto altre volte, al Vangelo di Giovanni, il quale fa della regalità di Cristo il motivo dominante del racconto della passione: Gesù diventa re attraverso la sofferenza e la morte di croce; il suo trono è la croce.
Nel complesso racconto della passione nel Vangelo di Giovanni il processo davanti a Pilato assume una particolare importanza e la regalità di Cristo, non affrontata nel resto del Vangelo, si presenta come tema fondamentale. In cinque delle sette scene in cui si può suddividere il racconto, esso è il tema dominante: lo scenario della passione ormai esclude ogni possibile fraintendimento sulla natura di questa prerogativa che Gesù riconosce per se stesso.
La pagina evangelica di questa domenica ci presenta la seconda scena imperniata appunto sulla regalità di Cristo. Pilato dimostra di sapere indirettamente che l’accusa contro Gesù è quella di lesa maestà (vedi la domanda: «Sei tu il re dei Giudei?») e nel colloquio abbiamo la contrapposizione tra due punti di vista. Pilato mostra una visione totalmente umana e politica della regalità di Gesù, vista come possibile minaccia per l’Impero romano.
Gesù invece descrive il suo regno come nettamente distinto dai criteri umani («Il mio regno non è di questo mondo»), dalle forze umane (non ha armati che possano difenderlo) e mette in luce l’abisso rispetto ai  giudei che lo hanno rifiutato. La non violenza è un aspetto fondamentale della regalità di Cristo nella storia e mentre non rifiuta completamente il titolo di re («Tu lo dici, io sono re») non lo intende come lo concepisce Pilato e presenta la sua regalità con il profilo di una vocazione e di un ruolo inediti. Egli è venuto per rendere testimonianza alla Verità, che evidenzia l’identità e la missione di Gesù, che è “la Verità”, in quanto inviato dal Padre che è “veritiero”.
Nel parlare a Pilato, Gesù non si preoccupa di confutare l’accusa con la quale è stato condotto, come imputato, a processo di fronte al governatore romano, ma compie il suo mandato perché offre la rivelazione del Padre e l’opportunità, anche per Pilato di passare dalla parte della Verità. Questo è possibile solo prestando ascolto alle sue parole: «Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».
Nel Vangelo di Giovanni c’è una distinzione importante tra il verbo “ascoltare” e il verbo “sentire”: il primo indica un’adesione ed una accoglienza interiore, che coinvolgono la libertà e la responsabilità dell’uomo; il secondo invece  indica che le parole “udite” non fanno presa nell’uditore, è come se fossero portate via dal vento dell’indifferenza.
In un’epoca come la nostra nella quale si vive con insofferenza ogni forma di autorità (nessuno vuole essere suddito di qualcuno) ha ancora senso proclamare Gesù Cristo come sovrano dell’universo? Non sembra ormai una rivendicazione fuori del tempo? E tuttavia il nostro tempo ci fa continuamente vedere che chi non ha Dio come Signore, di solito si sceglie altri signori (prestigio, potere, denaro,  piacere, benessere fisico-psichico...) che invece di garantire una libertà più autentica, generano una schiavitù più o meno palese.
Una riflessione del teologo Giovanni Ancona ci permette di inquadrare bene l’argomento. Egli scrive: “Per il mistero della Pasqua, la regalità di Cristo viene partecipata ai suoi discepoli: da prerogativa di Cristo essa diviene prerogativa anche della Chiesa. L’oggi della regalità di Cristo si rende così visibile nella comunità dei credenti, la quale è impegnata a testimoniare la logica di Gesù Re: non logica di poteri, di collateralismi, di compromessi con i signori terreni, di asservimenti, di pretesa di primi posti, di godimento di privilegi, di successi – come di fatto spesso è avvenuto anche nella storia della Chiesa –, ma logica di servizio umile, di ricerca della verità e della giustizia, di povertà evangelica di solidarietà fattiva, di ricerca della pace, di custodia del creato”.
È evidente che questo modo di regnare non garantisce vantaggi materiali né prestigio sociale o ricchezza economica, ma diventa un modo veramente credibile per esercitare ogni vero potere e un servizio autentico alla comunità cristiana e indirettamente a ogni realtà umana per realizzare la vocazione profonda e autentica di ogni persona.

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