Commento al Vangelo domenicale
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La pazienza divina è la forza del Regno

Matteo 13,24-30

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.
“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Parole chiave: Vangelo (413), Commento (92), Domenica XVI (2), Adelino Campedelli (7)

Continua in questa domenica nel Vangelo la lettura delle parabole del Regno. Ne vengono proposte tre, ma l’attenzione è fissata soprattutto su una: la parabola del grano e della zizzania per la quale Gesù dà l’interpretazione, come aveva fatto con la parabola del seminatore.
Possiamo vederle in continuità con la parabola del seminatore: là era illustrato il piantarsi del Regno nelle situazioni concrete, sia sfavorevoli che propizie, in queste parabole è illustrato il processo di crescita del Regno, anche di fronte ad elementi avversi o in condizioni apparentemente non proporzionate alla grandezza del Regno annunciato da Gesù.
Anche noi porremo per primi l’attenzione sulla parabola del grano e della zizzania: il racconto di Gesù nasce in un contesto politico e religioso caratterizzato da una attesa messianica quasi spasmodica in un orizzonte da fine dei tempi: il Regno di Dio è atteso come evento decisivo per operare una netta divisione fra buoni e cattivi; così i farisei attendevano un Messia che operasse con rigore questa separazione, eliminando i cattivi in modo che il popolo di Dio restasse composto di soli buoni; anche Giovanni il Battista annunciava un messia che col ventilabro avrebbe pulito la sua aia per raccogliere il grano e bruciare la pula (cf. Mt 3,12).
Di fronte a queste attese stava invece il ministero di Gesù, mite e umile di cuore, che “non spezza una canna incrinata e non spegne un lucignolo fumigante” (cf. Is 42,3 applicato a Gesù in Mt 12,20). Si poneva dunque il problema della sua messianicità e la continuata presenza dei cattivi rendeva dubbia la presenza del Regno di Dio.
Nella risposta che il padrone dà ai servi che vorrebbero strappare subito la zizzania viene annunciata come imminente la mietitura e l’inevitabile separazione e diversità di destino dei buoni e dei cattivi: la separazione finale è chiaramente annunciata, ma l’attenzione è posta sul presente: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura».
Possiamo intuire dietro a questa affermazione quanto dice S. Pietro nella sua seconda lettera: “La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza” (2 Pt 3,15).
Cosa dicono a noi queste parabole quando la Chiesa le proclama nella liturgia domenicale come momento più alto del culto divino, della preghiera cristiana e della proclamazione della parola divina?
A noi che siamo tentati di pensare di non contare niente perché siamo ormai incamminati a diventare una minoranza, la parabola del lievito dice che per avere un buon impasto per il pane non è necessario che tutto sia lievito (si otterrebbe l’effetto opposto) ma avere sempre coscienza che il lievito del Regno di Dio ha sempre la capacità di fermentare tutta la pasta.
A noi che siamo tentati di scoraggiamento perché consideriamo troppo piccola la nostra forza rispetto all’impresa di portare l’annuncio a tutto il mondo, la parabola del seme di senape ci dice che l’impresa è di Dio e di fronte a lui niente è mai troppo piccolo di fronte ai risultati che può farci ottenere.
La parabola della zizzania infine diventa un prezioso insegnamento di vita cristiana e di apostolato anche e soprattutto per i nostri tempi. Innanzitutto ci ricorda che il Regno è di Dio ed è opera sua che giunga a compimento: vedi l’imperturbabilità del padrone di fronte ai servi che annunciano che nel buon grano è stata seminata la zizzania.
Allo stesso modo non viene lanciata nessuna crociata per estirpare la zizzania: è la magnanimità del Signore, un segno della sua capacità di guardare alle nostre vicende umane con pazienza, con tenerezza (usando una parola tanto cara a papa Francesco), sapendo nella sua imperscrutabile sapienza che anche nelle situazioni più difficili e in casi che sembrano umanamente irrecuperabili Egli sa trovare strade di conversione e di recupero della pecora perduta.
Certo nella realizzazione definitiva del Regno di Dio sarà estirpata da esso ogni forma di male e di negatività, ma a Gesù preme sottolineare l’importanza del tempo presente durante il quale ogni uomo, corrispondendo alla sua grazia, può sempre compiere passi di salvezza.

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