Commento al Vangelo domenicale
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Rinunciare a tutto per avere la vera ricchezza

Matteo 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Parole chiave: Domenica XVII (1), Commento al Vangelo (68), Adelino Campedelli (7)

Il capitolo tredicesimo del Vangelo di Matteo, quello delle parabole del Regno, si conclude nell’Eucaristia di oggi con le ultime tre parabole: il tesoro nascosto, la perla preziosa e la pesca con il discernimento finale. Le prime due si assomigliano nella struttura molto semplice: due personaggi trovano una cosa assai preziosa e vendono quanto possiedono per acquistarla: nel primo caso si tratta di una scoperta fortuita, un colpo di fortuna capitato ad un povero salariato che sta lavorando il campo di un altro; per diventare padrone del tesoro deve comprare il campo e per questo cede tutto quanto possiede per acquistarlo; nel secondo caso si tratta di un ricco mercante che passa la vita alla ricerca di perle preziose; quando ne trova una di grande valore cede tutto il suo carico per acquistarla. Se vogliamo sottolineare una differenza fra i due racconti, nel caso del tesoro nascosto è sottolineata la gioia della scoperta: è un dono gratuito e insperato di fronte al quale non può che esserci una reazione festosa. Per comprendere però il senso profondo delle due parabole dobbiamo cogliere in esse l’elemento di fondo che permetta di rispondere alla domanda: “Perché Gesù ha raccontato queste parabole?”. Chiaramente Gesù vuol fare formulare agli ascoltatori un giudizio sulla vicenda che coinvolga la loro vita: si tratta evidentemente di un giudizio di stima e di apprezzamento. Sono stati certamente saggi sia il contadino sia il mercante, perché avendo trovato qualcosa che vale moltissimo, hanno fatto bene a vendere quello che avevano perché l’acquisto che hanno fatto è ben superiore alle proprietà precedenti. Per chi, come i discepoli, ha già conosciuto il valore del Regno, non vale forse la pena di lasciare (vendere) tutto per averlo? Le parabole però non pongono l’accento sul vendere, sul privarsi, ma piuttosto sul comprare, sull’acquistare: ciò che si riceve è infinitamente superiore a ciò a cui si rinuncia. Per accogliere il Regno è dunque necessaria una decisione sapiente, una scelta intelligente dei beni, un uso appropriato dei mezzi necessari per giungere al fine tanto importante. La terza parabola, quella della pesca con la cernita finale del pesce buono e l’eliminazione di quello cattivo, sottolinea con forza, allo stesso modo della parabola della zizzania e del buon grano, che l’accoglienza del Regno non ha solo un risvolto nel tempo presente ma determina la vicenda umana anche nella sua destinazione ultima. C’è un prima e c’è un poi: prima la pesca poi la cernita. La comunità cristiana sta vivendo al presente il momento della pesca: i discepoli hanno lasciato le loro barche e le loro reti per diventare, al seguito di Gesù, pescatori di uomini. Alla Chiesa compete la missione, non il giudizio: questo è lasciato nelle mani di Dio per il tempo della fine quando sarà chiaro chi ha fatto le scelte sagge e chi ha stupidamente preso decisioni sbagliate. Alla fine, dopo aver ascoltato tutte le parabole che riguardano il Regno di Dio, che conclusioni possiamo trarre per le nostra vita personale e per la vita comunitaria nella Chiesa? Prima di tutto il problema dell’accoglienza o del rifiuto del Regno di Dio (o del Vangelo, che è la stessa cosa) è una questione estremamente seria perché da questa scelta dipende la riuscita o il fallimento della vita nel tempo presente e nell’eternità e la nostra vita è il bene più grande che ci è stato dato. Questo argomento però non è da trattare con ansia o con paura perché, dice S. Paolo, “tutto concorre al bene per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28). Inoltre il Regno di Dio è un regalo gratuito di fronte al quale non valgono i nostri sforzi per acquistarlo: il Regno di Dio non si merita ma lo si accoglie. Il terreno buono non ha nessun diritto al seme, lo riceve dalla benevola e generosa mano di Dio al pari degli altri terreni; è l’accoglienza feconda che fa sì che produca frutti adeguati. Salomone aveva chiesto il dono della sapienza (un cuore docile) per poter governare bene il popolo d’Israele; la sapienza che siamo invitati a chiedere noi ha risvolti più personali e spirituali. La santità è un tema lontano dalle riflessioni, e chiedere la sapienza, il gusto delle cose di Dio ci offre la possibilità di una vita spirituale nelle diverse condizioni del proprio stato e della propria situazione di esistenza.

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