Commento al Vangelo domenicale
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Il peccato è la lebbra da cui siamo liberati

6 Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Marco 1,40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Parole chiave: Vangelo (421), Parola (13), Lebbroso (1), Don Adelino Campedelli (78)
Cosimo Rosselli, Guarigione del lebbroso, affresco 1481/2, Cappella Sistina, Roma

L’episodio evangelico di questa domenica, con la purificazione del lebbroso, sembra, a prima vista, giustapposto ai precedenti racconti di guarigione che hanno movimentato la giornata di Cafarnao, ma in realtà ne costituisce come il vertice ed il riassunto. È da notare che Gesù viene presentato solo, senza i discepoli.
La condizione del lebbroso nell’antichità e quindi anche nella Bibbia era assolutamente terribile; la prima lettura di questa domenica, presa dal libro del Levitico (Lv 13,1-2.45-45), la descrive in maniera efficace: il lebbroso dovrà vivere lontano dalle abitazioni delle persone sane, dovrà portare abiti strappati, capo coperto e velatura della faccia fino al labbro superiore e segnalare la propria presenza gridando «Impuro! Impuro!». Praticamente un morto vivente, escluso in maniera assoluta dalla partecipazione al culto: la malattia, al tempo incurabile, come una impurità radicale lo rende inabile a partecipare alle espressioni fondamentali del vivere comunitario in Israele.
Il lebbroso del Vangelo di oggi compie dei gesti di rottura della propria situazione di isolamento: si avvicina a Gesù, si inginocchia davanti a lui e lo supplica invocando la purificazione dal male che lo rendeva impuro. Attraverso i gesti che il lebbroso compie esprime invocazione, sollecitazione, appello ad essere aiutato; egli è inginocchiato nel senso della venerazione: la sua è una autentica professione di fede. Mentre la malattia a volte può indurire il cuore del malato, generando una cinica sfiducia, il lebbroso invece esprime voglia di vivere, speranza, capacità di osare al di là della propria fragilità.
Il fatto significativo è che il lebbroso si rivolge al laico Gesù, non ad un sacerdote della religione ebraica, il quale peraltro aveva solo il compito di costatare l’esistenza della malattia o la sua guarigione, ma non di guarire.
La risposta di Gesù è descritta da un verbo che esprime un sentimento materno (si commosse nelle viscere) e da un gesto inaudito: tocca il lebbroso, rendendosi lui stesso impuro, partecipe dell’emarginazione del malato, e intima imperiosamente la guarigione del lebbroso non dicendo «ti purifico» ma «sii purificato» al passivo e rinviando al Padre come causa ultima della purificazione della quale Gesù era stato il mediatore.
A questo punto il comportamento di Gesù sembra contraddire la tenerezza precedente, perché il lebbroso è congedato bruscamente con un severo rimprovero a non divulgare l’accaduto. Possiamo pensare che Gesù freme adirato, ravvisando nella lebbra qualcosa che deturpa l’originale progetto di Dio “che non ha creato la morte e non vuole la rovina dei viventi” (Sap 1,22). Gesù vuole il bene del malato e non il proprio successo per questo intima al lebbroso guarito il celebre “segreto messianico” e, rispettoso delle regole della Legge mosaica, lo invia al sacerdote per gli usuali riti che servono a reintegrarlo nella comunità (Lv 14,2-32).
L’azione di Gesù lo rivela come Messia, che fin dalla giornata inaugurale di Cafarnao anticipa quella che sarà la sua lotta contro il male in un duello di vita e di morte. La vittoria sul male fisico è una caparra di quanto avverrà nella risurrezione.
Il lebbroso però trasgredisce l’ordine di non divulgare la notizia e con una serie di vocaboli usati per descrivere la missione di Gesù, e cioè “uscire o allontanarsi”, “proclamare” molte cose e “divulgare la notizia” consolidando la fama, viene descritta anche la sua azione nel divulgare la notizia dell’accaduto.
L’ex emarginato, considerato, in quanto lebbroso, tagliato fuori dal Regno del Messia, diventa punto di riferimento per altri sani. Infatti Gesù si vede costretto a non entrare più pubblicamente in città, si trova ai margini come il lebbroso; questo però crea un movimento di uscita delle persone che si recano a lui da ogni parte.
Noi ora viviamo in un tempo e in un mondo che hanno un approccio molto diverso rispetto alla malattia e la fiducia nella scienza medica fa guardare con speranza al superamento di tanti problemi legati al male fisico, ma la nostra società non sembra altrettanto preoccupata della guarigione del male morale.
L’epitaffio che lo scrittore statunitense Edgar Lee Masters nella sua Antologia di Spoon River immagina posto sulla tomba di  Abel Melveny recita:

   Compravo tutti i tipi di macchine esistenti
   macine, scorzatoi, piantatrici, falciatrici,
   spremitori, sarchiatrici, aratri e trebbiatrici
   e stavano tutte alla pioggia e al sole,
   finendo arrugginite, contorte e scassate,
   perché non avevo una tettoia per metterle al riparo,
   e per lo più non sapevo che farne.
   E verso la fine, quando ci ripensai,
   accanto alla finestra, vedendo più chiaro
   in me stesso, mentre il mio polso rallentava,
   e guardavo una macina che comprai
   senza averne alcun bisogno,
   come poi si dimostrò, e non feci mai funzionare
   una bella macchina, un tempo smaltata a lucido,
   e smaniosa di fare il suo lavoro,
   ora con la vernice sbiadita
   mi vidi anch’io come una buona macchina
   che la vita non aveva usato”.

Mi sembra l’immagine perfetta della lebbra interiore che consuma la meraviglia della creatura umana fatta ad immagine di Dio, facendone un rottame senza scopo. Gesù è venuto per fare in modo che questo non accada se accettiamo di farci guarire dalla sua grazia, dal suo amore e di farci guidare dal suo Vangelo, che resta ancora l’unica vera “bella notizia” per un’umanità per molti versi stanca.

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