Commento al Vangelo domenicale
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Il Risorto è in mezzo a noi

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Parole chiave: Omelia (3), Terza Domenica di Pasqua (5), Vangelo (388), Don Adelino Campedelli (78)

Il Vangelo di questa domenica fa parte dell’ultima pagina del Vangelo di Giovanni e questa è ritenuta l’aggiunta da parte di un discepolo successiva alla conclusione posta dall’autore. Questa “seconda” conclusione vuole principalmente rispondere a due questioni: il rapporto, dal punto di vista missionario, tra l’opera del Risorto e quella degli apostoli dopo la Pasqua; la relazione tra la comunità del “discepolo amato” e il ruolo di Pietro, all’indomani della morte del medesimo discepolo, che si pensava dovesse restare in vita fino al ritorno del Signore.
In questo modo il discepolo amato e il discepolo che per tre volte dichiara di amare il Signore dopo la crisi del rinnegamento, orientano la vita della comunità nel tempo successivo alla morte degli apostoli. Si completa così il messaggio della seconda domenica di Pasqua, dove, con la vicenda di Tommaso, è chiarito il senso della fede di coloro, che pur non avendo visto, crederanno nel futuro, mentre in questa terza domenica s’insiste sul fatto che la vita nell’amore non si esaurisce con la morte dei primi discepoli, ma continua efficace nella vita della Chiesa.
Nella manifestazione di Gesù sul lago di Tiberiade, dopo la risurrezione, si può scorgere un legame con la sua prima manifestazione in Cana di Galilea (qui è presente il discepolo Natanaele di Cana) e con l’ultima manifestazione nel cenacolo il giorno di Pasqua; infatti ora l’apostolo Tommaso è presente. C’è quindi un legame tra la manifestazione di Gesù in un luogo chiuso e questa che avviene in mare aperto, con il passaggio da Gerusalemme alla Galilea e con il cambio del numero dei discepoli: là undici, qui sette, quasi a significare il passaggio dell’evangelizzazione di Israele (le dodici tribù corrispondente con il collegio dei dodici, anche se momentaneamente ridotto a undici, per la defezione di Giuda) all’evangelizzazione verso tutte le genti dapprima indicata dal numero sette (il numero della perfezione) poi dal misterioso numero di centocinquantatre grossi pesci pescati nella pesca miracolosa.
C’è da rilevare, inoltre, il ruolo centrale e unico di Pietro che prende l’iniziativa della pesca, si getta in mare per raggiungere in fretta la riva, si sente chiamato a donare la vita per Gesù nel ministero pastorale («pasci i miei agnelli» e «pascola le mie pecore»), fino al martirio.
Nel racconto della pesca notturna e della pesca all’alba l’autore recupera un tema molto caro all’evangelista Giovanni: il tema delle tenebre e della luce. La notte segnala il fallimento dell’iniziativa di Simon Pietro e dei suoi compagni; oltre al richiamo alla notte della passione vediamo che i discepoli costatano la verità della parola loro detta da Gesù: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5) e la necessità del costante riferimento al Signore che è la luce del mondo; l’esperienza della notte, inoltre, aumenta il desiderio di vedere la luce della Pasqua e l’opera piena della salvezza compiuta da Dio.
Come nelle apparizioni nel “luogo chiuso” dove si trovavano i discepoli, anche adesso Gesù risorto sta in piedi sulla riva del lago, all’inizio del nuovo giorno, nella posizione di chi ha vinto la morte e non giace più disteso all’interno del sepolcro. Nelle prime apparizioni, all’“ottavo giorno”, era segnalato il ritrovo nel giorno della festa da parte dei membri della comunità; ora è il tempo del lavoro quotidiano che viene visitato dalla forza della risurrezione del Signore; Gesù, sia all’interno che all’esterno, è presente in ogni situazione della vita dei discepoli e della comunità cristiana. Lascia capire che non si disinteressa delle loro fatiche e dei loro fallimenti, che ha presente i loro bisogni, la stanchezza e la delusione, e i timori di una notte senza frutti. La pesca miracolosa e insperata dà loro la certezza che in nessuna situazione Gesù li abbandona. Non solo prepara loro da mangiare, ma insegna anche a pescare, rendendoli così partecipi e protagonisti della loro nuova vita.
Il pasto in riva al lago non può non richiamare il pranzo di nozze a Cana di galilea che apre la serie dei segni posti da Gesù e non può nemmeno far dimenticare l’ultima cena, la cena dell’Eucarestia. In questo modo il Signore apre la missione della Chiesa, nella persona dei sette discepoli in riva al lago, con l’Eucarestia, luogo di sostegno e di riparo per la vita della comunità, momento culmine e di partenza per la vita della Chiesa.
Il banchetto che è raccontato si compone di due tipi di cibo: il pesce offerto da Gesù e i pesci pescati dai discepoli. Da una parte Gesù offre gratuitamente il suo dono, dall’altra chiede ai discepoli di condividere il suo stile di azione e di corrispondervi con la scelta di fare dono della vita, maturando le sue stesse scelte.
Al racconto della pesca segue il dialogo tra Gesù e Pietro, in cui emerge il compito di Pietro nella Chiesa e il suo destino finale. Per tre volte Gesù chiede a Pietro se lo ama e per tre volte Gesù gli rinnova l’invito a pascere i suoi agnelli: la triplice domanda d’amore evoca chiaramente il triplice tradimento di Pietro nel cortile della casa del sommo sacerdote, durante il processo di Gesù. Lui che ha negato la propria vocazione ad essere discepolo, si confronta ora con l’essenza massima dell’essere discepoli: l’amore. Egli ha voluto seguire tenacemente Gesù, ma ha tradito; a questo punto riconosce in modo disarmato la propria fragilità e così si apre a un modo di essere discepolo più autentico e Gesù può dirgli: «Seguimi».
La comunità cristiana è composta non di spettatori passivi, ma di testimoni ed essere discepoli del Signore vuol dire essenzialmente essere dei testimoni: e noi che testimoni siamo? Quale tipo di testimonianza “pasquale” diamo con la nostra vita?

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