Commento al Vangelo domenicale
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Gesù cambia radicalmente restando sempre sé stesso

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Parole chiave: Vangelo della Domenica (275), II di Quaresima (2)
Gesù cambia radicalmente restando sempre sé stesso

Nella seconda domenica di Quaresima la liturgia propone la lettura del vangelo della trasfigurazione nella versione di Marco, che presenta delle peculiarità interessanti rispetto agli altri sinottici. L’evento si colloca durante il ministero del Nazareno, dopo il punto di svolta rappresentato dalla confessione di Pietro inerente all’identità del Messia, a seguito della quale quest’ultimo inizia a profetizzare la sua passione, morte e risurrezione. Il testo si trova esattamente a metà del secondo vangelo: considerando la fine dell’opera di Marco in 16,8 sono 322 i versetti che precedono Mc 9,2 come 322 sono quelli che seguono Mc 9,10. Tale evidenza, sebbene non determinante, suggerisce il ruolo non secondario del brano nell’economia del racconto e pure qualche possibile connessione con la fine della narrazione.

Il racconto si apre con Gesù che prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni per condurli, separatamente dal resto dei Dodici, sulla cima di un monte. L’iniziativa libera che porta in disparte i tre è del Maestro, il quale sceglie gli stessi discepoli che in precedenza erano stati con Lui testimoni privilegiati della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37-43) e che saranno presenti anche durante la difficile ora al Getsemani (Mc 14,32-42). Giunti alla vetta, Marco racconta che Gesù fu trasfigurato davanti a loro. Il verbo utilizzato è in forma passiva, ad indicare quello che solitamente viene detto, appunto, passivo divino poiché indica un’azione che viene compiuta da Dio nei confronti del Figlio. Mentre nel vangelo di Matteo è scritto che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17,2) e in quello di Luca che “l’aspetto del suo volto divenne un altro” (Lc 9,29), Marco racconta il cambiamento avvenuto facendo riferimento alle “sue vesti (che) divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” (Mc 9,3). Ogni evangelista cerca delle parole adatte per dire ciò che in fondo, per certi aspetti, resta indicibile perché è avvolto dal mistero: Gesù cambia radicalmente restando sempre sé stesso. Il bianco è il colore della luce, di ciò che attiene all’ambito del divino e che quindi niente e nessuno sulla terra può replicare.

È in tale contesto che appaiono Elia e Mosè. La loro presenza attesta che sta avvenendo qualcosa che non è possibile collocare in un tempo storico: l’incontro tra il Messia ed Elia e Mosè scardina di fatto la barriera che separa i vivi dai morti ed offre un anticipo di ciò che sarà alla fine quando tutti i tempi si riuniranno. I due personaggi sono emblematici per Israele: essi rappresentano la Legge (Mosè) e i Profeti (Elia) che conducono a Gesù, Figlio di Dio. Sulla cima del monte si potrebbe dire che avviene l’incontro tra Primo e Secondo Testamento, l’accordo tra antica e nuova Alleanza.

L’importanza che rivestono Elia e Mosè, però, va oltre. Entrambi, come Gesù, hanno sperimentato nella loro vita il rifiuto e la dura opposizione da parte del popolo che rappresentavano: si sono scontrati l’uno con l’esperienza della costruzione del vitello d’oro e l’altro con l’insuccesso della predicazione contro i profeti di Baal (1Re 18,10-40). Essi appaiono, dunque, i predecessori più appropriati per offrire sostegno a Gesù dinnanzi alle prove che ha sostenuto e che lo aspettano e per attestare la sua vera identità di Figlio del Padre.

Le parole di Pietro a seguito di questi eventi risultano a dir poco inappropriate. Che sia in stato confusionale e non abbia capito quello che sta accadendo emerge chiaramente anche solo da come si rivolge a Gesù. Lui, che in precedenza lo ha riconosciuto come Cristo, ora lo chiama semplicemente rabbì. Inoltre, palesando un modo di affrontare le questioni molto terreno e concreto, propone di costruire tre tende dimenticando chi sono coloro che ha di fronte e che la dimensione costitutiva del discepolo non è statica, bensì in costante movimento.

Emergono a questo punto altri due elementi che richiamano la presenza divina: una nube avvolge con la sua ombra i discepoli e da essa prorompe una voce chiaramente udibile da tutti. Diversamente da quanto accaduto nell’episodio del battesimo, ora la voce si rivolge ai presenti in modo che tutti sappiano che Gesù è il Figlio amato ed esorta ad ascoltarlo. Quest’ultimo imperativo costituisce una novità determinante: dal registro visivo su cui si è giocata buona parte della narrazione, ora si passa al registro uditivo.

Ecco, quindi, perché i discepoli adesso non vedono nessun altro oltre al Nazareno. È tempo di tornare con maggiore consapevolezza all’ascolto e alla sequela di Gesù verso la croce; ed è opportuno osservare la consegna del silenzio fino al giorno della risurrezione per evitare di proferire parole inadeguate.

Nonostante questa esperienza straordinaria i tre discepoli continuano a non comprendere completamente le parole del Maestro e a faticare a restare accanto a Lui, ma la presenza di Gesù vicino a loro non viene mai meno.  E questo, fortunatamente, vale anche oggi per quanti cercano di accogliere l’invito ad ascoltare colui che è la Parola incarnata.

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