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“La regola del gioco” priva di denuncia

La regola del gioco
(Usa, 2015)
regia: Michael Cuesta
con: Jeremy Renner, Ray Liotta, Rosemary De Witt
durata: 111 min.
Valutazione Cnvf: consigliabile/problematico/dibattiti

Parole chiave: La regola del gioco (1)
“La regola del gioco” priva di denuncia

Cercare qualcosa su Google equivale, a volte, a sondare lo spirito del tempo. Accade all’appassionato di cinema, che digitando La regola del gioco scopre con un po’ di sorpresa e un moto di sconforto che il primo risultato, cioè quello più registrato dagli algoritmi del motore di ricerca, non è relativo a La regle du jeu, 1939, regia di Jean Renoir: uno dei dieci film più belli della storia del cinema. Ci si riferisce, nel calcolo statistico per il quale un tale risultato è ottenuto, a un film molto più recente (e molto meno importante, per quanto si tratti di un buon film), che in realtà nell’originale si intitola Kill the messenger.
Ispirato al libro di Nick Schou, la pellicola diretta da Michael Cuesta e sceneggiata da Peter Landesman, racconta la vera storia del giornalista Gary Webb (Jeremy Renner) che arriva a ricostruire, partendo da uno spunto quasi casuale, uno degli intrecci più clamorosi tra potere e criminalità organizzata della storia recente.
Lo scenario descritto è quello che lega insieme il Nicaragua sandinista, Paese latinoamericano considerato una minaccia politica dagli Stati Uniti, con la mafia salvadoregna che gestiva il traffico di droga in California, e a Los Angeles in particolare, anche allo scopo di finanziare il movimento dei Contras, che si opponevano al legittimo governo nicaraguegno. Attraverso un’indagine meticolosissima, tipica del miglior giornalismo americano, Webb riuscì a dimostrare il coinvolgimento della Cia in questi traffici, che arrivava al punto di ostacolare la Dea (cioè la corrispondente agenzia governativa americana deputata a combattere i narcotrafficanti) pur di favorire la destabilizzazione in uno di quei Paesi che la dottrina politica del reaganismo considerava “il giardino di casa”.
In altre mani (pensiamo a un Sidney Pollack, ad esempio) ne sarebbe potuto uscire un robusto film di denuncia, degno del miglior cinema della New Hollywwod degli anni Settanta. Ma non sono più quei tempi e, nonostante molti bravissimi attori nelle parti di contorno e una splendida interpretazione di Jeremy Renner, il film non riesce ad avvincere e a convincere più di tanto.
Purtroppo la scelta di sceneggiatura e di regia compiuta è di aver privilegiato i pur esistenti tormenti e dubbi del singolo individuo Gary Webb (morto in circostanze non del tutto chiarite nel 2004), a discapito di un mosaico di avvenimenti e relazioni sia istituzionali che sociali che avrebbero dovuto esser indagate con maggiore attenzione.

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