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«Entro due anni tutti i non vaccinati saranno contagiati dal Covid»

di ADRIANA VALLISARI

L’infettivologo Andrea Crisanti: è la progressione matematica del virus

Parole chiave: Andrea Crisanti (1), Virologo (1), Covid-19 (89), Scienza (8), Salute (63)
«Entro due anni tutti i non vaccinati saranno contagiati dal Covid»

di ADRIANA VALLISARI

Secondo autunno col Covid-19. Nel settembre 2020, dopo un’estate in cui qualcuno aveva addirittura dato per morto il virus, ci stavamo avvicinando alla vigilia della seconda, disastrosa, ondata. Senza avere i vaccini anti-covid.

Un anno più tardi i vaccini sono arrivati, somministrati a più del 70% degli adulti in Italia. Il contatore dei decessi ha frenato la corsa, ma l’Organizzazione mondiale della sanità nei giorni scorsi ha lanciato un allarme sul rallentamento delle vaccinazioni, che rischiano di causare 236mila morti in più in Europa entro la fine dell’anno. C’è la variante Delta del virus, assai contagiosa, per la quale si sta valutando la somministrazione di una terza dose di vaccino; ci sono sacche di incerti o apertamente no-vax, questi ultimi di recente protagonisti di atti di intolleranza, riaccesi dai nuovi obblighi legati al Green pass (dal primo settembre necessario per i trasporti a lunga percorrenza e per il personale scolastico).

L’emergenza, insomma, continua. Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi? Sabato 28 agosto, alla festa del Partito democratico alle Golosine, in città, invitato dal senatore Pd Vincenzo D’Arienzo, è intervenuto Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova (nella foto, al centro del palco). Ovvero colui che, a Vo’ Euganeo (Padova), nel febbraio 2020 scoprì che la maggior parte delle persone contagiate, seppure asintomatiche, era in grado di trasmettere il Covid-19, da cui la necessità di far eseguire i tamponi anche a chi non aveva sintomi, contravvenendo le linee guida dell’epoca.

Intervistato dai giornalisti veronesi Giovanni Salvatori e Giovanni Vitacchio, il virologo – noto per la sua linea rigorosa di contrasto al virus – ha espresso la sua visione sull’andamento pandemico, rispondendo anche alle domande del pubblico. Erano oltre un centinaio le persone nell’area in piedi allestita intorno al palco, accessibile solo col Green pass; altrettante, se non di più, quelle sedute nelle tavole della festa. Nei minuti iniziali, appena aperti i microfoni, un motociclista di passaggio ha dato il suo personale “benvenuto” al professore, contestando con urla sguaiate lui e il Green pass. Riportiamo qui un sunto del Crisanti-pensiero.

Utilità del Green pass

Non sappiamo se l’urlatore di cui sopra si sia poi allontanato o sia rimasto ad ascoltare l’incontro. Fermandosi, avrebbe scoperto che il professore ritiene il Green passuno strumento utile per persuadere le persone a vaccinarsi, ma non per contrastare la circolazione del virus.

«Il Green pass non è uno strumento di sanità pubblica, ovvero qualcosa di cui si conosce l’efficacia nel tempo: siccome nessuno l’ha mai misurata, non può essere considerato tale – ha detto –. Le persone vaccinate si infettano e possono trasmettere il virus, quindi col Green pass siamo in una situazione più sicura che senza, ma non sicura in termini assoluti. Vorrei che ci fosse meno ipocrisia sull’argomento e si dicesse che questa non è una misura di prevenzione di sanità pubblica, bensì uno strumento per indurre persone a vaccinarsi». Con una puntualizzazione importante: «Io sono favorevole a vaccinazione, sia ben chiaro, perché ha un impatto importante sulla trasmissione ed è ciò che ci farà uscire dalla pandemia».

Sicurezza dei vaccini

«Le agenzie che regolano la distribuzione dei farmaci stanno progressivamente modificando i termini di approvazione: si è passati da un’autorizzazione emergenziale a una vera e propria approvazione definitiva, che certifica che il vaccino funziona ed è innocuo. Dopo 4 miliardi di dosi somministrate abbiamo una quantità di dati enorme, che non si era mai accumulata in così breve tempo per nessun vaccino al mondo – ha sottolineato Crisanti –. In questo momento esiste la certezza che questi sono vaccini efficaci e senza grosse complicazioni». 

Obbligo vaccinale

«Il virus evolve in continuazione: il problema è capire se gli attuali vaccini siano efficaci come lo erano 9 mesi fa. Se, contro le varianti del virus lo fossero tra l’85 e il 90%, allora renderei il vaccino obbligatorio. Ma l’obbligatorietà è giustificata di fronte a un vaccino che funziona veramente: in questo momento con le varianti siamo in una situazione ancora da definire. Il rischio è spingere all’obbligatorietà e poi magari ci accorgiamo fra alcuni mesi che non protegge così bene». Ecco perché si guarda molto a Israele. 

 

Terza dose sì o no?

«In Israele ora si incomincia ad ammalare, fortunatamente sintomi leggeri, il personale sanitario vaccinato 9 mesi fa e ciò ha indotto le autorità a fare la terza dose. Resta un’incognita: il vaccino sviluppato per una variante che non c’è più, quella di Wuhan, protegge ancora? Lo vedremo fra due-tre mesi. Se, dai dati, emergerà che la terza dose protegge, significa che le persone si ammalano perché l’immunità via via diminuisce; se invece, nonostante la terza dose, le persone si ammalano vuol dire che le varianti sono in grado di infettare le persone vaccinate». Aggiornare il vaccino sarebbe complicato? «No, quelli a Rna sono molto facili da riprogrammare, è un lavoro di un mese al massimo: il problema è produrli e ridistribuirli; ci vogliono mesi per riportare alle persone un vaccino aggiornato, perciò mi auguro che la terza dose col vaccino di Wuhan sia ancora efficace».   

 

Dubbiosi e no-vax 

«Sono sorpreso dal fatto che le persone abbiano più paura del vaccino che del virus – ha detto –. Ci sono persone che pensano che, comportandosi in maniera diligente, non prenderanno il virus. Ma con la variante Delta tutti i non vaccinati lo prenderanno sicuramente nel giro di due anni. Sono i modelli matematici che ci permettono di arrivare a queste conclusioni. Anche perché i vaccinati, seppur senza complicazioni gravi, si infettano; quindi il virus circola con una trasmissibilità elevatissima e i non vaccinati sicuramente prima o poi si infetteranno». 

 

Tracciamento dei casi

«In Italia è saltato un tracciamento artigianale, di per sé poco efficace: così come viene fatto da noi non funziona. Fare il test a chi convive con chi si ammala non è tracciamento – critica il virologo –. Sei mesi fa c’era stato un focolaio importante all’aeroporto di Saigon, isola con 5 milioni di abitanti; erano coinvolti circa 150 individui: hanno fatto 300mila tamponi in due settimane, non solo ai conviventi ma a tutte le possibili persone con cui i malati erano entrati in contatto. È una filosofia diversa, adottata pure da Paesi poveri, come il Vietnam. L’Inghilterra, ad esempio, ha un sistema di geolocalizzazione volontaria con cui in un giorno mette 400mila persone in quarantena; in questo modo riesce a creare una situazione di equilibrio: ci sono 20-30mila casi al giorno, certi, e una libertà pressoché totale». 

 

Pasticci comunicativi

Il caso AstraZeneca è stato lampante. «Emblematico di un approccio non basato sulla trasparenza – rileva –. Bisognava dire che era un vaccino approvato su un esperimento condotto su 30mila persone, che sicuramente non avrebbe catturato tutte le differenze della popolazione. E che, come per qualsiasi altro vaccino, via via che si fossero accumulati i dati sarebbero cambiate le indicazioni». Media, politica e comunità scientifica divisa hanno spesso contribuito ai cortocircuiti informativi... «Ma se tutti noi scienziati fossimo d’accordo la scienza non progredirebbe», rivendica il virologo.  

 

Ritorno a scuola

Un anno fa ci si chiedeva se fosse tutto pronto per il ritorno a scuola e abbiamo visto cos’è successo. Adesso? «L’unica differenza è la percentuale di persone che si è vaccinata, ma ci si continua a infettare, quindi sicuramente ci sarà un impatto in autunno – ha risposto –. La scuola però dev’essere il Piave: non ci possiamo permettere un altro anno di didattica a distanza. In caso di misure restrittive, la scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere». E sui vaccini ai ragazzi dai 12 ai 18 anni, Crisanti si dice favorevole. «Non ci sono problemi di pericolosità, ma va anche detto che, se si infettano, i giovanissimi raramente sviluppano una malattia grave; si pone quindi una questione di costi-benefici: si fanno vaccinare altruisticamente per ridurre la trasmissione del virus». 

 

Quando finirà?

«Ritornare a una vita normale è l’aspirazione di tutti noi – ha concluso –. Siamo in una situazione in cui gli assembramenti non protetti sono elementi di grande diffusione del virus; ne abbiamo avuto una manifestazione tangibile con gli Europei, che hanno comportato 20mila casi in Inghilterra, nelle due settimane successive. A meno che non arrivi una terapia, riusciremo ad avvicinarci al pre-pandemia quando avremo raggiunto un livello di vaccinazione elevato, combinato a un programma serio di tracciamento; al contempo, non possiamo permetterci che il resto del mondo sia un incubatore di varianti».

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