Una giornata particolare
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Orientarsi è uno sport ma anche una necessità se si conosce la meta

L’orienteering è la disciplina – di origine militare – che sfida a raggiungere il traguardo esplorando un territorio sconosciuto. La versione sportiva, che si è andata delineando nel Nord Europa da fine Ottocento, conta molte varianti...

Orientarsi è uno sport ma anche una necessità se si conosce la meta

L’orienteering è la disciplina – di origine militare – che sfida a raggiungere il traguardo esplorando un territorio sconosciuto. La versione sportiva, che si è andata delineando nel Nord Europa da fine Ottocento, conta molte varianti: in solitaria o a squadre, nel bosco o in città, amatoriale o agonistica, con o senza punti di controllo, di giorno o di notte, di corsa o con vari mezzi (bici, sci, canoa, auto, cavallo, ecc.), oltre alla modalità paraolimpica dove si valuta soprattutto la precisione. Ai partecipanti non viene richiesto alcun equipaggiamento specifico se non una bussola, mentre alla partenza viene consegnata loro una mappa dettagliata (con colori e simboli secondo uno standard internazionale), la posizione dell’arrivo e degli eventuali punti di controllo da cui passare per vidimare il cartellino-testimone (o il chip elettronico). Il successo nel gioco è legato a un giusto equilibrio tra velocità e sicurezza, forza fisica e mentale, capacità di pensare strade nuove e di rispettare i passaggi indicati. Negli ultimi anni l’orienteering è proposto anche come attività di team building aziendale, perché aiuta a migliorare la coesione cercando di trovare la posizione comune verso cui andare, ma anche la propria dentro il gruppo stesso. La gara più famosa è l’O-ring: una cinque giorni che si svolge in Svezia e che vede abitualmente circa 20mila partecipanti da oltre 40 nazioni. Non mancano gli eventi in Italia, molto amati a livello internazionale, anche per i luoghi che li ospitano. L’emergenza sanitaria ha portato all’annullamento delle varie competizioni, ma non tutto è stato bloccato, con la proposta di virtual orienteering in vario modo e sulle strade di diverse località. La tecnologia lo permette, la creatività non manca: d’altronde sono gli esperti del ritrovare in fretta la giusta direzione e una strada fino ad allora mai seguita. Proprio nell’anno in cui la Giornata mondiale dell’Orienteering (11 maggio) è proposta in maniera del tutto sottotono, scopriamo che questa disciplina ha molto da insegnarci. D’altronde il Covid-19 ha fatto emergere come la nostra vita sia piena di imprevisti e opportunità (usando un linguaggio da Monopoli, una sorta di orienteering da tavolo), in cui siamo chiamati a più riprese a rivedere le certezze, ripensare le strategie e reimpostare le priorità; inoltre ci ha confermato come lo smarrimento non venga tanto dall’affrontare sfide e territori sconosciuti, ma dal non avere orizzonte, traguardo e riferimenti comuni. Proprio dall’Oriente – come cultura e storia – ci arriva l’indicazione di diffidare da chi vuole imporre un orientamento troppo rigido (che per il sanguinario Pol Pot era l’unico rimedio alla rovina), ma anche da chi vorrebbe eliminare ogni riferimento; il pluripremiato scrittore giapponese Haruki Murakami in Kafka sulla spiaggia (2002), romanzo a tratti surreale, scrive una cosa molta reale: non avere mappa e bussola non porta ad essere liberi, ma ad essere soli (con tutto ciò che ne deriva). 

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