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Il saggio di don Gaburro tra ermeneutica e teologia

Sergio Gaburro
Alla tua voce tremò il mio labbro. Per una teologia ermeneutica in decostruzione
San Paolo - Cinisello Balsamo
pagg. 240 - euro 20

Parole chiave: Sergio Gaburro (2)
Il saggio di don Gaburro tra ermeneutica e teologia

Col ricorso alla metafora profetica del tremolio del labbro, Sergio Gaburro, già noto per il brillante saggio sulla “voce della rivelazione”, apre prospettive e disegna itinerari per certi aspetti inediti in un contesto teologico (come quello italiano) oggi segnato dalla stanchezza e dalla stagnazione. E in un periodo come questo, il fatto che ci sia qualcuno che ancora osa la pubblicazione di un “saggio”, non può che essere salutato con gratitudine. Indico tre spiragli per favorire il dibattito e la ricezione critica.
Il primo spiraglio concerne la lettura delle Scritture sante che qui si adotta, considerate più in una prospettiva ermeneutica che esegetica. L’autore, tuttavia, attraversando e superando il livello filologico e analitico dei testi cui si ispira, mostra la loro forza di interpellazione per l’oggi. I racconti della torre di Babele e della Pentecoste, considerati da Gaburro, vanno compresi nell’orizzonte dell’ermeneutica credente di eventi metastorici con valenza storica, ossia capaci di interpellare ogni epoca e ogni generazione. L’autore, ricorrendo all’interpretazione ebraica, evidenzia che Babele “non è un semplice oracolo contro Babilonia, ma una parabola dal valore universale, non un’arida punizione ma una feconda opportunità, poiché Dio disperse il popolo per il suo bene”. E sull’evento pentecostale afferma che “la Chiesa, che nasce come popolo dello Spirito e come universale, trova la sua origine al di fuori di sé, in un dono gratuito che la supera infinitamente. Il labbro ecclesiale che annuncia è sempre rigirato verso il Tu del Labbro, che non include uniformando, ma unisce differenziando”. La stessa Pontificia Commissione Biblica, afferma che l’interpretazione della Scrittura che “si fa in seno alla Chiesa (...) deve necessariamente essere pluralistica... una sinfonia a più voci”.
Il secondo spiraglio traghetta il lettore dall’esegesi alla teologia. L’autore assume lo stile e il linguaggio della “teologia aporetica”, innestata nella grande tradizione del pensiero paradossale e qui riferita al pensiero della decostruzione di Derrida. Tale “frattura del simbolico”, afferma Gaburro, “non inaugura semplicemente una relazione tra una Mente (Labbro) e un oggetto (labbro), ma tra una Libertà e un’altra libertà, nella quale viene deciso di loro stesse: non solo l’uomo, ma anche Dio, rapportandosi, mette a rischio qualcosa di sé, la sua manifestazione”.
Il terzo spiraglio concerne la capacità di questa teologia di lasciarsi interpellare dall’ermeneutica della decostruzione, di cui è significativo il dibattito tra la de-costruzione di Derrida e la necessità di de-nominare di Marion, il quale ebbe a dire: “Propriamente parlando di Dio, non c’è mai alcun nome proprio né appropriato [...]. Non si tratta più di nominarLo, né al contrario di non nominarLo, ma di de-nominarlo”.
A Gaburro occorre riconoscere il merito di aver evocato, nel triduum mortis, il mistero del sabato santo. A questo proposito, in un passaggio suggestivo, afferma: “Abitando la ferita innovatrice del Sabato Santo,… questo Dio si fa trovare nell’assoluta contingenza. Preferisce la linfa vitale dell’umiltà, sceglie la centrale marginalità,... essere di casa nella fessura sempre aperta del labbro dell’esistenza”. Si apre perciò una breccia teologica che “non corrisponde né al silenzio, né all’affermazione, ma all’invocazione che nasce dalla creatura attraversata dalla storia”. Qui il Nostro si ispira al pensiero di M. De Certeau, colorando di una sorta di attualità pontificia la sua proposta, trattandosi, come emerse dall’intervista a Spataro, di un autore caro a papa Francesco.
Auguriamo a questo volume di mantenere aperta la “breccia teologica” nel tentativo, per nulla scontato, di continuare a pensare credendo e a credere pensando, in un tempo nel quale la percezione sembra talmente invasiva da togliere ogni possibile spazio alla pur necessaria riflessione.

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