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Il dopo-Dad chiede un nuovo rapporto con le famiglie

I danni della pandemia, la necessità di adeguarsi a questi tempi

Il dopo-Dad chiede un nuovo rapporto con le famiglie

Il nuovo anno scolastico è ormai iniziato da qualche mese e gli alunni di ogni età sono tornati a vivere la scuola in presenza, anche se la paura del ritorno alla didattica a distanza è dietro l’angolo e già si ripropone in classi in cui si contano più di tre casi positivi.

Si cominciano anche a tirare le somme su quanto accaduto e si scopre che il ritorno presenta non pochi problemi, talora molto seri, sia per gli alunni che per i docenti e i genitori, più che mai chiamati a dare vita ad una sempre più urgente alleanza educativa.

Il Rapporto Unicef sulla condizione dell’infanzia 2021 fornisce a livello planetario un quadro drammatico: 142 milioni di bambini a rischio povertà, 1,6 miliardi di alunni con scuole chiuse per il lockdown, uno su 3 alunni privi di accesso alla didattica a distanza. Si stima che ci sarebbero oltre 332 milioni di minori con pesanti ricadute sulla salute mentale e deprivazione di benessere emotivo. Un adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni conviverebbe con un disturbo mentale: 89 milioni di ragazzi e 77 milioni di ragazze.

Per quanto riguarda l’Italia, il ministero dell’Istruzione ha commissionato un’apposita indagine al Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop) su bambini tra i 5 e i 13 anni e ragazzi tra i 14 e i 19 anni. Ne è emerso un aumento del 24% di disagi e problemi psicologici, con crescente ansia, calo del tono umorale, fino a forme di “ritiro” e chiusura in sé, soprattutto tra le femmine e rilevanti crisi di rabbia, aggressività ed opposizione tra i maschi. Gli alunni sarebbero ora decisamente più tristi e irritabili, con frequenti sbalzi di umore.

Si è rilevata altresì una considerevole difficoltà di concentrazione, crescente con l’aumentare dell’età. I docenti, dal canto loro, descrivono gli alunni come “passivizzati” e rileverebbero un calo di impegno nelle verifiche, come se volessero togliersene il peso il prima possibile.

Più ricerche hanno inoltre rilevato una consistente difficoltà ad uscire dalla “zona di confort”, costruita a casa per sopravvivere alla solitudine e la cosiddetta “sindrome da rientro”, determinata dal non poter più nascondersi dietro ad uno schermo per vincere il timore di non essere accettati dal gruppo.

Un’altra causa di difficoltà sarebbe determinata dal cosiddetto binge watching (la maratona da visione tivù) che ha determinato eccesso di sedentarietà, disturbi del sonno e aumento della dipendenza da videogiochi. Ci sarebbe una diffusa paura di non sentirsi all’altezza, di non riuscire a tollerare i tanti stimoli dell’ambiente-aula scolastica, di non saper convivere con la mascherina, di non andare d’accordo con gli altri, di non essere in grado di esprimere un metodo di studio all’altezza delle richieste, di non riuscire a tollerare la confusione ed il rumore senza poterlo domare spegnendo un interruttore.

Un altro problema, che riguarda anche noi adulti, consisterebbe nell’essere stati progressivamente indotti a considerare gli altri, e non solo gli estranei, come dei potenziali pericoli e questo metterebbe a dura prova il tentativo di normalizzare le nostre relazioni interpersonali e di gruppo.

Tutto ciò necessita che la scuola e  la famiglia riescano ad agire  di comune accordo, superando il clima di diffidenza reciproca che si respira talora, per realizzare quell’effettiva alleanza educativa che auspicano le Indicazioni Nazionali e le Linee guida ministeriali.

La scuola deve entrare nell’ordine di idee che, per far fronte a questa emergenza, necessitano interventi mirati, personalizzati sulle effettive esigenze di ognuno; deve prendere le distanze, dove ancora non l’abbia già fatto, da una didattica “troppo seduta”, che rischia di tradursi in un’indigestione di conoscenze.

È necessario che gli alunni siano protagonisti del loro imparare, ne comprendano il senso, condividendo esperienze significative. È importante che gli insegnanti sappiano porsi in ascolto dei bisogni educativi di alunni duramente provati dalla pandemia e creare i presupposti perché possano esprimere e gestire le loro emozioni, ricostruire positivamente le relazioni, gli affetti e fronteggiare lo stress, acquisendo progressivamente fiducia e autonomia.

È quella “cura” che raccomandava don Milani: tu vali, sei importante per me.

Le famiglie, dal canto loro, devono cercare di superare l’atteggiamento di iperprotezione che ha segnato il passaggio dalla famiglia normativa di un tempo a quella affettiva dei nostri giorni. Devono capire che i figli non possono vivere in una situazione di eterna dipendenza e che per crescere hanno bisogno di imparare a vivere e vincere la frustrazione. Non si tratta di lasciarli soli o di ignorare il loro disagio: tutt’altro. Vanno accompagnati, ma progressivamente lasciati crescere.

È importante fornire la percezione che siamo presenti, disponibili a parlarne, a consigliare, ma che non possiamo sostituirci a loro nell’affrontare le sfide che incontrano, nei cui confronti devono sentirsi progressivamente responsabili. Bisognerebbe poi smettere di vedere gli errori come catastrofi da evitare: riflettere su di essi, saperli correggere e superarli è il modo giusto per imparare e migliorarsi.

Infine, noi adulti, dovremmo sorridere di più: il sorriso cura, infonde benessere e speranza e i nostri/e alunni/e, ne hanno un gran bisogno, ora più che mai.

* Docente universitario

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