Il Fatto di Bruno Fasani
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Il voto che ci sta davanti domanda attenzione critica e un grande senso di responsabilità

Scrivevo, subito dopo la caduta del governo Draghi, che alle prossime elezioni avremmo fatto cucù a quei partiti che ne avevano decretato la fine...

Parole chiave: Elezioni (35), Voto (5), Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)
Il voto che ci sta davanti domanda attenzione critica  e un grande senso di responsabilità

Scrivevo, subito dopo la caduta del governo Draghi, che alle prossime elezioni avremmo fatto cucù a quei partiti che ne avevano decretato la fine. Uno sberleffo, che non era una scelta di campo, per dire votate Caio piuttosto che Sempronio. Era semplicemente indignazione. Che non è finita, sia chiaro. No, no.
Ero arrabbiato nero per più ragioni. A cominciare dal fatto che avevano fatto finire la legislatura non appena erano stati sicuri di aver maturato il vitalizio. Oltre duemila euro per un solo mandato, che è cosa da far venire la gastrite a tutta quella povera gente che va avanti a meno di 500 euro al mese.
Poi mi aveva fatto indignare il fatto che avessero voluto anticipare le elezioni di sei mesi rispetto alla scadenza naturale della legislatura, mentre alla guida del governo c’era un signore, degno d’essere chiamato signore. Si potevano condividere o meno le sue scelte, ma il credito e il prestigio, che stava portando all’Italia, erano valori aggiunti, che non conoscevamo da anni.
Sto seguendo la campagna elettorale, con una noia infinita. Se non fosse per la regina, che ci ha distratti con la sua morte e per le rivelazioni di Totti, che ci ha raccontato chi per primo, tra lui e Ilary, è entrato nella famiglia dei cervidi, saremmo a rischio catalessi. Prima Meloni, poi Letta, quindi Conte e Salvini, per finire con Calenda e Lupi. Stesso copione, su tutti i canali, servito con una mestizia da due di novembre. Salvo, anche qui, una piccola eccezione. Berlusconi su Tik Tok. Che è come portare il pilates nelle case di riposo.
Però attenti a prendervela solo con loro. Non mi dispiacerebbe se, con i miei colleghi giornalisti,  facessimo un esame di coscienza sul modo in cui viene gestita l’informazione politica. Il presidente della Federazione nazionale della stampa nei giorni scorsi ha chiesto di vigilare perché l’informazione sarebbe sotto attacco. Allarme motivato o solo preventivo, date le scontate previsioni elettorali? Non sarebbe fuori luogo, caro presidente, se cominciassimo a dire ai giornalisti di fare bene il loro mestiere, che vuol dire anche la capacità di contraddire le frottole del politico intervistato di turno?
Se uno ti dice che porterà le tasse al 23%, gli dovrai pur chiedere il modo in cui poi farà funzionare il Paese. E se un altro ti dice che tutti i pensionati, con lui al governo, avranno più di mille euro al mese (che sarebbe sacrosanto) dovrà dirti in quali casse andrà a rovistare. O se ti dicono che a votare Meloni, l’Italia sprofonderà nel bradisismo fascista, bisognerà domandare perché le loro promesse non decollano, nonostante il pericolo annunciato. Limitarsi a prendere atto delle risposte date, come se fosse l’ultimo dogma della rivelazione, puzza di arte per salvarsi il posto, in caso di cambio della guardia prossimo a venire. Anche qui, una questione di poltrone, in definitiva. In attesa che qualcuno denunci i politici per tentativo di circonvenzione di presunti incapaci, per via delle balle che promettono, ci piacerebbe che si smettesse di demonizzare chi vota dalla parte opposta alla propria. Per dire che votare a Destra è un insulto all’intelligenza, dovuto all’ignoranza degli italiani, o per dire che votare a Sinistra è solo dare fiato alla retorica del buonismo, parolaio e inconcludente.
Sono tante le domande che vengono a galla e che vorremmo rendere pubbliche in questo momento. Ma più che cercare risposte all’esterno, è dentro la coscienza che dovremo trovarle. Una cosa sola fatico a comprendere. L’astensionismo, che fa rima con menefreghismo. Si dà la colpa ai politici, che hanno deluso. Sarà anche vero. Ma gli alibi funzionano, al massimo, al 50% come nei matrimoni che finiscono. L’altra metà che manca è il coraggio e l’onestà di chiederci quanto ci stia a cuore davvero il bene degli altri.

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