Il modo di relazionarsi primo annuncio cristiano
Mi capita ogni tanto di celebrare qua e là in giro per l’Italia. Quando posso preannuncio il mio arrivo. Qualche altra volta capito all’ultimo minuto. È un’esperienza interessante, che aiuta a capire quali possono essere le impressioni della gente quando si rivolge alle nostre parrocchie.
Mi capita ogni tanto di celebrare qua e là in giro per l’Italia. Quando posso preannuncio il mio arrivo. Qualche altra volta capito all’ultimo minuto. È un’esperienza interessante, che aiuta a capire quali possono essere le impressioni della gente quando si rivolge alle nostre parrocchie. Ovvio che non bisogna generalizzare, ma l’impressione più frequente è quella d’essere accolti da una burbera essenzialità. In genere poche parole e nessun “incoraggiamento” che lasci trasparire quella amabilità di tratto che San Paolo indica come distintivo della nostra comune appartenenza al Signore. Il più delle volte finisci con l’impressione di aver creato un disturbo e nulla è più mortificante di sentirsi causa di questo disturbo.
Un’accoglienza senza una parola che ti induca a raccontare qualcosa di te stesso e sapere qualcosa dell’altro che ti sta davanti, giusto per stabilire un piccolo ponte di fraternità. Poi si celebra nel più oscuro anonimato, condito da omelie farcite di fraternità e di misericordia. Si potrà pensare che tutto questo appartenga alla forma. Eppure nulla, nella Chiesa è più sostanzioso della forma. Almeno quella dei nostri rapporti umani.
Michelangelo diceva che la statua è sempre nel marmo. Basta togliere quello che è di troppo. Per l’intelligenza il di più da togliere è l’ignoranza. Per le nostre relazioni umane, la mancanza di tatto. Nascondersi dietro il carattere, dietro il “io-sono-fatto-così”, dietro alle tante cose importanti da fare è confinare il Vangelo nello spazio delle idee, nelle norme morali o nei pizzi e i fiori delle nostre liturgie. Insomma, sottraendolo alla vita. Come se il potere di annunciarlo fosse legato alla forza dei principi e della capacità di annunciarli, piuttosto che dietro il volto umano e rivelatore di chi ha incontrato quei valori.
Proviamo a chiederci cosa oggi potrebbe trovare un giovane di tanto affascinante per decidere di aggregarsi alla comunità dei cristiani. Noi continuiamo a dire la figura di Gesù. Ed è vero. Ma quale mediazione umana incontra questo volto di Cristo nel segno sacramentale di tanti cristiani che spesso hanno il profilo del burocrate più che dell’innamorato?
Credo che la provocazione di queste righe domandi comunque un ripensamento sul modo di preparare i giovani che chiedono di diventare preti. Non insegnando loro il bon-ton (che comunque non guasterebbe) ma l’affinamento di quelle caratteristiche umane senza le quali nessun messaggio evangelico può essere veicolato all’esterno. Basterebbe rileggersi con attenzione le tante riflessioni di papa Francesco, per cogliere l’urgenza di metterci un supplemento di umanità. Non dobbiamo mai dimenticare che Dio non è riuscito a salvare il suo popolo né con la legge, né con il tempio. Ha dovuto farsi vicino alla sua gente per cambiarle il cuore. Esattamente quello che ci è chiesto come suoi seguaci.