Il Fatto di Bruno Fasani
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Dai musulmani di Oslo un gesto di grande civiltà

Se a Parigi e a Copenaghen il fondamentalismo islamico ha voluto mostrare il suo volto peggiore, andando a colpire e uccidere gli ebrei, a Oslo, in Norvegia, sono stati invece gli stessi giovani musulmani a fare cerchia intorno alla Sinagoga, per dire no alla brutalità jihadista. Un gesto simbolico di altissimo valore, partito da un appello, lanciato dalla giovane diciassettenne Hajdir Ashrad sui social network...

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Se a Parigi e a Copenaghen il fondamentalismo islamico ha voluto mostrare il suo volto peggiore, andando a colpire e uccidere gli ebrei, a Oslo, in Norvegia, sono stati invece gli stessi giovani musulmani a fare cerchia intorno alla Sinagoga, per dire no alla brutalità jihadista. Un gesto simbolico di altissimo valore, partito da un appello, lanciato dalla giovane diciassettenne Hajdir Ashrad sui social network, e subito accolto da migliaia di coetanei, anch’essi musulmani, uniti in una corale primavera di fratellanza.
Del resto, come la pensassero le nuove generazioni islamiche norvegesi lo avevano fatto sapere qualche giorno prima su Facebook: “Se gli jihadisti vogliono usare violenza nel nome dell’Islam – avevano scritto – devono prima passare attraverso noi musulmani. Poiché l’Islam significa proteggere i nostri fratelli e sorelle a prescindere dalla loro religione, significa superare l’odio e non sprofondare allo stesso livello dei nemici... Noi musulmani vogliano dimostrare che disprezziamo profondamente ogni tipo di odio nei confronti degli ebrei formando un cerchio umano attorno alla sinagoga”. Parole senza equivoci, che fanno pensare, a dispetto dei più ostinati pessimisti, che il futuro della convivenza tra diversità religiose, sia non solo possibile, ma in qualche maniera, anche iniziato.
Ma sarebbe però ingenuo lasciarsi andare a un eccesso di ottimismo. Ce lo impediscono più motivi. Prima di tutto il fatto che questi segnali di primavera sono possibili all’interno di contesti democratici, dove sono garantiti i diritti individuali. Cosa diversa dai regimi islamici, vere e proprie dittature, dove il pluralismo è parola sconosciuta e combattuta. Il fatto è che alla caduta dell’Impero ottomano nel 1926, le varie etnie presenti nel Medio Oriente e nel Golfo arabo, si son trovate senza un capo unificatore e spesso l’una contro l’altra. Si pensi alle lotte intestine tra sciiti e sunniti, salafiti, wahabiti… L’unico modo per far fronte a questo scenario fluido e bellicoso è stato quello del pugno di ferro delle dittature.
Le nuove generazioni scalpitano per avere maggiori aperture culturali e democratiche (le famose primavere arabe), ma, ad oggi, non sembra che gli esiti consentano grandi speranze. Anzi, proprio là dove si intravvedevano le migliori premesse, vedi Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia, alla fine il bilancio segna pesantemente a sfavore di qualsiasi segnale di vero rinnovamento. A volere essere realisti, l’impressione è che prevalga la logica del gambero, in grado di portare indietro le lancette della storia verso il buio dei secoli passati.
Difficile allora pensare che una minoranza europea, per quanto coraggiosa, riesca a diventare faro capace di trascinare altre generazioni di coetanei verso un processo di modernizzazione dell’Islam.
Oltretutto appare evidente come anche all’interno degli stessi paesi democratici d’Europa il fascino del fondamentalismo stia lambendo le menti malate di tanti ragazzi, convinti che lo scontro di civiltà e la lotta fratricida siano la miglior prospettiva su cui giocarsi l’esistenza. Eppure da Oslo è venuto un segnale forte. E allora perché non credere al fascino del bene, evitando di rassegnarci alla forza devastante del male? Si tratta di un segnale di grande forza che ci fa ben sperare. E sperare non costa nulla.

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