Il Fatto di Bruno Fasani
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Come un semplice bacio può accendere le guerre

Il bacio, da sempre, ha segnato gli appuntamenti della storia. I cristiani magari corrono immediatamente a quello più tragico, consumato nell’orto dell’agonia, quando un certo Giuda fece di un gesto d’amore il segnale più alto del tradimento...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)

Il bacio, da sempre, ha segnato gli appuntamenti della storia. I cristiani magari corrono immediatamente a quello più tragico, consumato nell’orto dell’agonia, quando un certo Giuda fece di un gesto d’amore il segnale più alto del tradimento. Ma senza scomodare i tanti baci tra Romeo e Giulietta, consegnati alle tele da Francesco Hayez, basta fermarsi alla cronaca per capire come il linguaggio delle labbra si intrecci con tutte le vicende dell’umanità.
Per restare più vicini ai nostri tempi, era il 1993 quando, sul prato della Casa Bianca, si firmava l’accordo di pace tra Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Rabin. Fu quest’ultimo a intimare perentoriamente a Bill Clinton: «Sia ben chiaro, niente baci». E per quella volta le labbra salivose di Arafat dovettero accontentarsi di una asettica e asciutta stretta di mano.
Del resto non erano passati molti decenni da quando il regime comunista dell’Unione Sovietica aveva sdoganato il bacio sulla bocca come espressione di fratellanza politica. Una sorta di segnale in codice, dove le ragioni ideologiche assumevano il valore di un sigillo d’amore. Perfino sul Muro di Berlino Leonid Breznev era immortalato mentre congiungeva le labbra coi suoi più devoti seguaci dell’Ost Politik.
Oggi anche il bacio è scaduto. O meglio, c’è inflazione del bacio, ma di quello erotico, spesso consumato senza amore e senza condivisione di anima. E questo grazie anche a dentisti e odontotecnici che hanno reso le bocche più gradevoli e gli aliti più accettabili. Sopravvive il bacio di mafia e di camorra, ma quello politico sembra assolutamente sul viale del tramonto. Sembra, appunto, o sembrava, perché l’eccezione è sempre dietro l’angolo.
A mettere in piedi la sceneggiatura di una patetica querelle politica è bastato l’incontro tra l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il ministro, la signora Maria Elena Boschi, alla festa dell’Unità che si teneva a Milano nei giorni scorsi. Un incontro sugellato da un abbraccio cordiale, al quale i transfughi del Pd hanno voluto dare una valenza politica che ha portato alla rottura. Obiettivo su cui scaricare il rancore è stato soprattutto Giuliano Pisapia, fondatore di Campo Progressista, un movimento che si propone di ricucire una Sinistra oggi lacerata da mille divisioni interne. È bastato un abbraccio e un bacio sulla guancia per gridare al tradimento, della serie l’amico del mio nemico è il mio nemico.
Fa impressione vedere come in politica, insieme all’onestà sia sparita non solo l’amicizia, ma il senso dell’educazione. Avrà pure una valenza politica l’abbraccio tra Pisapia e la Boschi, ma com’è possibile pretendere ostilità e avversione tra chi fino al giorno prima sedeva sullo stesso scranno e oggi senza colpe è dall’altra parte? Dove pensano di arrivare i Bersani e i D’Alema, gestori di un orticello, instillando negli italiani l’odio verso il Pd?

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