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Purché le vacanze non siano il tempo del dolce far niente

Sono troppi tre mesi di vacanze estive per gli studenti italiani? L’annoso tormentone si ripropone a scadenze periodiche, aprendo l’immancabile dibattito tra favorevoli e contrari. Anche perché le esigenze alle quali ottemperare sono molteplici: dai genitori entrambi lavoratori che vorrebbero sempre avere i figli parcheggiati in qualche luogo sicuro (e la scuola lo è, sebbene considerarla alla stregua di un parcheggio sia un insulto), agli stessi ragazzi che invece non vedono l’ora che arrivi l’estate per impiegare il tempo in maniera diversa rispetto al resto dell’anno...

Sono troppi tre mesi di vacanze estive per gli studenti italiani? L’annoso tormentone si ripropone a scadenze periodiche, aprendo l’immancabile dibattito tra favorevoli e contrari. Anche perché le esigenze alle quali ottemperare sono molteplici: dai genitori entrambi lavoratori che vorrebbero sempre avere i figli parcheggiati in qualche luogo sicuro (e la scuola lo è, sebbene considerarla alla stregua di un parcheggio sia un insulto), agli stessi ragazzi che invece non vedono l’ora che arrivi l’estate per impiegare il tempo in maniera diversa rispetto al resto dell’anno. E questo non significa certo tre mesi passati a bighellonare. Perché, a dirla tutta, se un giovane è uno scansafatiche, lo è tutto il tempo dell’anno, quindi anche durante il periodo scolastico.
A riproporre la questione ci ha pensato nei giorni scorsi il ministro del Lavoro, Poletti secondo il quale «un mese di vacanza va bene. Ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione», ricordando che d’estate i suoi figli andavano al magazzino della frutta a spostare le casse. Buona cosa svolgere qualche lavoretto nel periodo estivo. Nonostante il disbrigo delle pratiche burocratiche per poter essere in regola non sia sempre agevole, in tanti lavorano tra bar, gelaterie, ristoranti, parchi divertimento, campagna e quant’altro. Così sperimentano cosa significhi “guadagnarsi il pane”, il rispetto degli orari, l’attenzione verso i clienti, la collaborazione con i colleghi che magari dinanzi alla burba non risparmiano qualche battutina e rimprovero... Anche il sottoscritto ha dato una mano nel negozio di famiglia fino all’anno del diaconato, e non ne provavo alcuna vergogna, anzi era una soddisfazione poter rendermi in qualche modo utile, sebbene quella del “garzone di bottega” venisse considerata un’attività ormai superata, non adeguata ai tempi... dai quali però sarebbero scaturiti i bamboccioni. Ma ormai sono passati più di 25 anni e il “reato” è caduto in prescrizione... come per Moggi e Giraudo. Mi domando se oltre al lavoro in magazzino il simpatico ministro imolese consideri formazione anche il servizio prezioso e gratuito che migliaia di adolescenti svolgono in parrocchie, oratori e case estive nelle attività di Grest e campiscuola. A mio parere lo è, eccome! Al punto che non mancano coloro che considerano queste attività più utili in fondo per gli stessi animatori che non per i ragazzini che ne sono i fruitori. In questo modo infatti gli adolescenti si sentono responsabilizzati, sperimentano di essere dei punti di riferimento per ragazzini più piccoli, sono chiamati a rispondere a mille esigenze che sorgono all’improvviso. Non è motivo di crescita e di maturazione umana questa? Non è scuola di vita? Lasciamo allora che, almeno d’estate, siano le famiglie a decidere insieme con i figli quali esperienze formative far compiere loro. Le possibilità sono innumerevoli, basta averne voglia. Peraltro Poletti deve essersi scordato che ai suoi tempi le vacanze duravano ancor di più e tutti tornavano a scuola il 1º ottobre senza che alcuno osasse protestare. Era così e basta!

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