Condiscepoli di Agostino
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Una volta trovato il volto di Dio va ancora cercato

Il volto di Dio Trinità va sempre cercato dal credente, come sollecita a fare il salmista: “Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate forti; cercate sempre il suo volto” (Sal 104,3-4)

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo emerito di Verona (21)
Una volta trovato il volto di Dio va ancora cercato

Il volto di Dio Trinità va sempre cercato dal credente, come sollecita a fare il salmista: “Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate forti; cercate sempre il suo volto” (Sal 104,3-4). È quanto riporta Agostino all’inizio del quindicesimo libro del trattato sulla Trinità (Cfr. De Trinitate 15,2.2). Ma subito si fa interprete di una obiezione: “Sembra, infatti, che ciò che si cerca sempre non si trovi mai, e come allora si rallegrerà e non si rattristerà invece il cuore di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ciò che cercano?” (Ivi). A questo punto Agostino si sente autorizzato ad appellarsi ad un testo del profeta Isaia: “Cercate il Signore e appena lo troverete, invocatelo” (Is 55,6). Dunque, chi cerca Dio lo trova, per poterlo invocare. Agostino, che mai s’arresta di fronte alle ombre e alle incertezze, ma le affronta per portarvi luce, prosegue nel porsi l’interrogativo: “Sarà forse che anche una volta che lo si è trovato, bisogna cercarlo ancora? È così infatti che bisogna cercare le cose incomprensibili, perché non ritenga di aver trovato nulla colui che abbia potuto trovare ciò che cercava tra quanto di incomprensibile cercava” (Ivi). Agostino incalza ancora se stesso: perché mettersi alla ricerca di ciò che in definitiva è incomprensibile? Risponde a se stesso: cercare questo bene è un bene. E mentre se ne trova qualche aspetto che reca gioia, si è stimolati a cercarne altri: “Si trova per cercarlo e lo si cerca per trovarlo” (Ivi: “Inveniendum quaeritur et quaerendum invenitur”). Prosegue motivando il suo aforisma: “Lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza e lo si trova per cercarlo con maggior avidità” (Ivi: “Et quaeritur ut inveniatur dulcius et invenitur ut quaeratur avidius”). Come a dire che la ricerca di Dio, in se stesso mai del tutto comprensibile, è un impulso naturale dell’uomo. Nella misura in cui ne scopre qualche aspetto ne prova dolcezza interiore, che a sua volta lo spinge a ricercare altri aspetti con avidità. Agostino individua anche il mezzo della ricerca che è dato dalla fede e il mezzo del ritrovamento, che è dato dall’intelletto: “La fede cerca; l’intelletto trova” (Ivi: “Fides quaerit, intellectus invenit”). Non gli resta che concludere affermando che Dio ha concesso all’uomo l’intelligenza, proprio perché l’uomo lo cerchi incessantemente: “Per questo l’uomo deve essere intelligente, per ricercare Dio” (Ivi). Quanto basta per sentirci sollecitati a cercare il volto del Mistero pasquale.

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