Condiscepoli di Agostino
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Tra gli artigli dei Manichei

Ai tempi di Agostino, e anche prima, Cartagine era una città cosmopolita. Vi confluivano da ogni parte, per ragioni culturali e commerciali. Agostino vi si recò diciottenne per apprendere l’arte della retorica, oggi diremmo giurisprudenza.

Ai tempi di Agostino, e anche prima, Cartagine era una città cosmopolita. Vi confluivano da ogni parte, per ragioni culturali e commerciali. Agostino vi si recò diciottenne per apprendere l’arte della retorica, oggi diremmo giurisprudenza. Una setta religiosa, quella dei Manichei, era particolarmente attiva ed esercitava un singolare fascino sui giovani, per la carica di entusiasmo che la connotava nel trasmettere la (loro) verità. Agostino, assetato ricercatore di verità, rimase impigliato nella loro propaganda. Ecco come ne descrive l’abboccamento: “Pertanto caddi nella rete di uomini deliranti nella loro superbia (i Manichei) … E dicevano: ‘Verità e verità’”. Era convinto di aver trovato il mondo della verità, verso la quale si sentiva rapito in tutto il suo essere, fin nelle midolla, pur senza ancora intuire Chi era la Verità verso la quale era metafisicamente proteso e a cui sospirava: “O Verità, Verità, quanto già allora nel mio intimo le midolla del mio animo sospiravano a te!”.
Eppure, Agostino, nel rivisitarne gli accadimenti e i suoi stati d’animo, nella sua piena maturità, quando cioè stendeva Le Confessioni, ebbe chiara coscienza che Dio faceva vita con lui, anche se lui non ne percepiva la presenza: “Dove eri Tu allora per me e quanto lontano? E io andavo peregrinando lontano da Te. Tu eri più interiore (di me stesso) alla mia interiorità e al di sopra delle realtà in me più alte”.
Verrebbe la voglia di conoscere da subito l’intera dottrina dei Manichei. Preferisco svelarla progressivamente, proprio seguendo l’immersione che ne ha fatto Agostino stesso. Cominciamo da due delle questioni più significative poste  dal manicheismo, il problema della natura del male e dell’identità di Dio: “In modo abbastanza acuto mi sentivo sospinto a suffragare quegli stolti ingannatori, quando mi chiedevano donde deriva il male e se Dio fosse definito da una forma corporea e se avesse capelli e unghie... Ignaro come ero, mi lasciavo turbare da queste questioni e, recedendo dalla verità, mi sembrava di andare verso di essa, poiché non avevo compreso che il male altro non è se non la privazione di un bene, fino al punto della sua assoluta inesistenza”. Agostino fa dunque una precisazione sulla natura del male di eccezionale acutezza: il male non è una realtà, come pensavano i Manichei i quali lo raffiguravano come una immensa massa tenebrosa, al contrario di Dio pensato come una sconfinata massa luminosa. Erano infatti incapaci di pensare come esistenti realtà non materiali, ma puramente spirituali. Mancavano cioè di capacità di intercettare la metafisica. Il male non è una cosa materiale, ma la “privazione” del bene. La vera realtà esistente è il bene. Il male ne è la privazione, così come le tenebre non sono una realtà, ma la privazione della luce. Idea geniale, che sta alla radice di tante altre soluzioni a problemi di natura filosofica.
A questo punto, Agostino non disdegna di esemplificare le corbellerie fantasiose e assurde dei Manichei che all’inizio aveva accettato acriticamente. Era venuto a sapere, ad esempio, che un fico e la pianta madre piangono lacrime di latte: “Se però quel fico fosse stato mangiato da qualche loro santone, si sarebbe mescolato nelle sue viscere e ne sarebbe stato espulso, tra gemiti di preghiera e rutti, in forma di angeli e addirittura di particelle di Dio; particelle del sommo Dio che sarebbero rimaste prigioniere in quel frutto se non fossero state liberate dal dente e dal ventre del santone eletto. Ed io, miserabile, ho creduto che si dovesse avere misericordia più per i frutti della terra che non per gli uomini, per i quali nascevano”. Stranissimo che anche Agostino, con la sua acutissima mente, non avesse subito avvertito le banalità contenute in queste favole, come accade ai “neofiti” plagiati dalle sette religiose. Diventano dei creduloni. Loro malgrado.

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