Condiscepoli di Agostino
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Principio e origine di ogni peccato è la superbia

Agostino è convinto che capo e origine di ogni male è la superbia, di cui satana è la personificazione. Sente pertanto il bisogno di precisare che cosa significa vivere secondo satana o, al contrario, secondo Dio

Parole chiave: Sant'Agostino (174), La città di Dio (66), Mons. Giuseppe Zenti (309), Vescovo di Verona (245)

Agostino è convinto che capo e origine di ogni male è la superbia, di cui satana è la personificazione. Sente pertanto il bisogno di precisare che cosa significa vivere secondo satana o, al contrario, secondo Dio: “Quando pertanto l’uomo vive secondo l’uomo non secondo Dio è simile al diavolo … Quando l’uomo vive secondo verità non vive secondo se stesso ma secondo Dio… Se invece l’uomo vive secondo se stesso, vive secondo menzogna… Non vivere secondo la norma con cui si è ordinati a vivere, questo è la menzogna... Egli vuole essere beato anche vivendo in modo da non poterlo essere. Che cosa c’è di più menzognera di questa volontà? Di conseguenza, non invano ogni peccato può essere detto una menzogna. Non si fa il peccato se non per quella volontà, mediante la quale vogliamo o non vogliamo che ci venga del bene” (De civ. Dei, XIV, 4.1). Proprio dal vivere nell’umiltà secondo Dio o dal vivere nella superbia secondo satana traggono origine le due città, la città di Dio e la città terrena: “Questo perciò abbiamo detto, che cioè da questo dato sono derivate due città diverse tra di loro e tra loro contrarie, in quanto gli uni vivono secondo la carne e gli altri secondo lo spirito” (De civ. Dei, XIV, 4.2). In realtà, tutto dipende dalla volontà umana, se ama il bene e odia il male, e in questo caso dichiara di vivere la città di Dio, o se ama il vizio e odia il bene, e in questo caso dichiara di vivere la città mondana: “C’è di mezzo la qualità della volontà umana, perché se è perversa avrà questi impulsi perversi; se invece è retta non solo saranno senza colpa ma anche degni di lode… è necessario pertanto che l’uomo che vive secondo Dio e non secondo l’uomo sia un amante del bene; ne consegue che odia il male. E poiché nessuno per natura ma ciascuno per vizio è cattivo, colui che vive secondo Dio deve avere odio assoluto nei confronti dei mali, affinché né a causa del vizio abbia ad odiare l’uomo né ami il vizio a causa dell’uomo, ma odi il vizio e ami l’uomo” (De civ. Dei, XIV, 6).
Anche l’amore è buono o cattivo se ha come forza propulsiva l’umiltà o la superbia. Agostino precisa che “la retta volontà è l’amore buono, mentre la volontà perversa è l’amore cattivo” (De civ. Dei, XIV, 7.2). E specifica i quattro grandi sentimenti radicati nell’amore, cioè il desiderio, la letizia, il timore e la tristezza: “L’amore che anela ad avere ciò che si ama è desiderio; se lo ha e ne fruisce è letizia; quando sfugge ciò che gli è avverso è timore; quando percepisce che ciò (l’oggetto del timore) potrebbe accadere, è tristezza. Pertanto, queste sono malvagie se l’amore è malvagio; buone se l’amore è buono” (Ivi). Agostino ripropone le quattro passioni o inclinazioni nella vita del cristiano: “I cittadini della santa Città di Dio, che vivono secondo Dio temono e desiderano, si dolgono o gioiscono, e poiché il loro amore è retto, hanno retti questi sentimenti. Temono la pena eterna. Desiderano la vita eterna. Si dolgono del fatto che sono in attesa dell’adozione gemendo in se stessi, la redenzione del loro corpo. Godono nella speranza” (De civ. Dei, XIV, 9.1). Prende poi in considerazione questi sentimenti nella vita di Paolo (Cfr. De civ. Dei, XIV, 9.2) e in Gesù stesso (Cfr. De civ. De civ. Dei, XIV, 9.3). Esamina il senso dell’apatheia degli stoici che la identificano con l’impassibilità e del timore casto in Paolo, inteso come volontà di non peccare (Cfr. De civ. Dei, XIV, 9.4.5). E conclude: “Stando così le cose, poiché si deve condurre una vita retta, mediante la quale giungere alla vita beata, la vita retta ha retti questi sentimenti, quella perversa perversi” (De civ. Dei, XIV, 9.6).

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