Condiscepoli di Agostino
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La santità tra gioia e parresìa

Papa Francesco, che affascina anche per il suo consueto sorriso, nella sua esortazione apostolica Gaudete et exsultate precisa che il santo non ha “uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo” (Ge 122)...

Parole chiave: Gaudete et exsultate (17), Vescovo di Verona (244), Mons. Giuseppe Zenti (309)

Papa Francesco, che affascina anche per il suo consueto sorriso, nella sua esortazione apostolica Gaudete et exsultate precisa che il santo non ha “uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo” (Ge 122). E a conferma riporta vari testi biblici dell’Antico e del Nuovo testamento che invitano alla gioia (cfr Ge 122-123). Soprattutto evidenzia Maria come donna della gioia, che porta gioia (cfr Ge 124), ma focalizza la sua attenzione sulla gioia annunciata da Gesù e portata dal Risorto (cfr ivi). Certo, il Papa non intende ingannare nessuno. È ben consapevole che la gioia non è una mistificazione: “Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale che si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto” (Ge 125). E dopo aver citato come esempi di santità espressa nella gioia e persino nell’umorismo san Tommaso Moro, san Vincenzo de Paoli e san Filippo Neri, cita testi biblici che invitano alla gioia anche in mezzo alle difficoltà e agli inconvenienti della vita (cfr Ge 126-127), presentando nel contempo san Francesco d’Assisi come esempio di una gioia delicatissima e quasi eterea: “È quello che viveva san Francesco d’Assisi, capace di commuoversi di gratitudine davanti ad un pezzo di pane duro, o di lodare felice Dio solo per la brezza che accarezzava il suo volto” (Ivi). Precisa ulteriormente che quella di cui parla non si identifica con la “gioia consumistica e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo infatti non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non la gioia” (Ge 128).
A questo punto papa Francesco inserisce nelle connotazioni della santità la parresia. È un termine biblico, caro a papa Francesco che già nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium gli aveva riservato ampia attenzione: “Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia” (Ge 129). La traduzione di questo termine di matrice della lingua greca, nella sua etimologia equivale a “incontenibile bisogno e irrefrenabile impulso a manifestare ad altri ciò che preme in cuore”. Già papa Paolo VI, di cui il 14 ottobre sarà proclamata la santità con il rito solenne della canonizzazione, in seguito ad un miracolo autenticato accaduto ad una famiglia di Villa Bartolomea, aveva segnalato quale ostacolo grave per l’evangelizzazione “la carenza di parresia: ‘la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro’” (Ge 130). È interessante anche il proseguo nel quale papa Francesco esorta ad assumere in prima persona il compito di evangelizzare come frutto di parresia, citando quanto mai opportunamente l’esempio di san Paolo: “Aggrappati a Lui abbiamo il coraggio di mettere tutti i nostri carismi al servizio degli altri. Potessimo sentirci spinti dal suo amore e dire on san Paolo: ‘Guai a me se no annuncio il Vangelo’” (ivi). Si sa che il testo di san Paolo prosegue, confidandoci: “Per me evangelizzare è un bisogno vitale”.

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