Condiscepoli di Agostino
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La risurrezione dei corpi dei fedeli defunti

Su ogni possibile questione Agostino si impegna a confrontarsi con le varie correnti filosofiche del suo tempo. Anche nell’ambito della risurrezione dei corpi, mentre affronterà il medesimo tema solo dal punto di vista della teologia biblica nel libro XXII de La città di Dio.

Parole chiave: La città di Dio (66), Sant'Agostino (175)

Su ogni possibile questione Agostino si impegna a confrontarsi con le varie correnti filosofiche del suo tempo. Anche nell’ambito della risurrezione dei corpi, mentre affronterà il medesimo tema solo dal punto di vista della teologia biblica nel libro XXII de La città di Dio. Si confronta, ad esempio, con i filosofi platonici, i quali rifiutano l’idea, sostenuta da Agostino, che gli uomini mai sarebbero morti se non fosse intervenuto il peccato originale e che, comunque, alla risurrezione anche i corpi saranno riuniti all’anima: “Ad essi (ai filosofi platonici) sembra assurdo ciò che la fede cristiana predica: i primi uomini sono stati così creati che, se non avessero peccato, non sarebbero sciolti dai loro corpi da nessuna morte, ma per i meriti dell’obbedienza custodita dotati di immortalità con essi (con i corpi) sarebbero vissuti in eterno; e che i santi nella risurrezione avranno quegli stessi e tali corpi, nei quali qui hanno faticato” (De civ. Dei, XIII, 19).
Agostino concentra la sua attenzione sulle anime dei defunti fedeli a Dio. Sono in attesa del corpo che sarà sottomesso ai voleri dell’anima, reso esso stesso spirituale, partecipe della “indissolubile immortalità con la liberazione da ogni stimolo d’inquietudine, da qualsiasi decomposizione e pesantezza. Non solo non sarà come è ora, quando si trova in uno stato di ottima salute, e nemmeno come fu nei progenitori prima del peccato” (De civ. Dei, XIII, 20). Dopo aver polemizzato con i filosofi-teologi che ritengono tutto simbolico nelle vicende narrate dalla Scrittura circa il paradiso terrestre (Cfr. De civ. Dei, XIII, 21), afferma che “I beati saranno di certo assolutamente rivestiti del dono inviolabile dell’immortalità” (De civ. Dei, XIII, 22). Con la risurrezione, “i corpi non diverranno spirito, ma rimarranno corpi che avranno la sostanza della carne, ma non subiranno nessuna pesantezza e corruzione, perché sarà lo spirito a dare loro la vita. Non sarà più uomo terreno, ma celeste, non perché non sarà più il medesimo corpo tratto dalla terra, ma perché per divina benevolenza diviene tale da essere ammesso ad abitare in cielo, non con la perdita della sostanza, ma con la trasformazione delle prerogative” (De civ. Dei, XIII, 23.1). Accenna alla questione del rapporto tra corpo spirituale e animale, dell’uomo terrestre e celeste in Paolo (Cfr. De civ. Dei, XIII, 23, 2.3). Certamente, riconosce Agostino, per natura l’uomo è anima e corpo: “l’uomo non è soltanto corpo o soltanto anima, ma uno che consta di anima e di corpo. Questo è certamente vero che l’anima non è l’uomo tutto intero, ma la sua parte migliore; né tutt’intero l’uomo si identifica con il suo corpo, ma è la sua parte inferiore; ha nome uomo quando è congiunto l’una e l’altro” (De civ. Dei, XIII, 24.2).
Ulteriore precisazione: creatore dell’uomo, anima e corpo, non è soltanto il Padre e il Figlio, ma anche lo Spirito Santo: “Certamente in persona è il medesimo Spirito e del Padre e del Figlio; con Lui è Trinità il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, non una creatura, ma Creatore… comune al Padre e al Figlio perché… è uno solo per entrambi” (De civ. Dei, XIII, 24.3). Agostino riconosce assai pertinente la distinzione fatta da san Paolo tra corpo animale e corpo spirituale, “quello cioè in cui ora siamo e quello in cui saremo… Gli uomini, resi partecipi della grazia di Dio a loro accordata e che nella vita beata rimarranno cittadini degli Angeli santi, saranno così rivestiti dei corpi spirituali, da non peccare e non morire mai più. Saranno tuttavia vestiti di una immortalità che, come quella degli angeli, non possa essere portata via dal peccato; e, pur rimanendo certamente la natura della carne, non rimarrà per nulla soggetta alla corruzione della carne e alla lentezza” (De civ. Dei, XIII, 24.6).

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