Condiscepoli di Agostino
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In Adamo siamo nati tutti peccatori

Tra i vari argomenti affrontati da Agostino nel libro XIII de La città di Dio vi è quello, importante, del rapporto tra peccato e morte. Ma da dove si è avviata la vicenda del peccato che ha rovinato l’intero percorso della storia, segnato appunto dalla tragedia della morte, dando origine di fatto alla città terrena nella sua dimensione umana che si è aggiunta a quella angelica demoniaca?

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo di Verona (245), Sant'Agostino (175), La città di Dio (66)

Tra i vari argomenti affrontati da Agostino nel libro XIII de La città di Dio vi è quello, importante, del rapporto tra peccato e morte. Ma da dove si è avviata la vicenda del peccato che ha rovinato l’intero percorso della storia, segnato appunto dalla tragedia della morte, dando origine di fatto alla città terrena nella sua dimensione umana che si è aggiunta a quella angelica demoniaca? Ecco la radice bacata: l’uomo inebriato dalla sua libertà ha scelto ciò che è perverso. Si è lasciato catturare dalle concupiscenze malvagie, contrarie allo spirito. I discendenti del primo uomo nascono con questo conflitto interiore.
Questa l’articolazione del pensiero di Agostino: “Dopo che fu fatta la trasgressione del comandamento di Dio, subito, essendo venuta meno la grazia divina, i progenitori rimasero turbati dalla nudità dei loro corpi” (De civ. Dei, XIII, 13). Essi si vergognarono delle parti del corpo di cui prima non arrossivano: “Sperimentarono un nuovo impulso della propria carne, come reciproco castigo della loro disobbedienza. Senza dubbio l’anima, dilettata dalla propria libertà nei riguardi di ciò che è perverso e sdegnata di servire Dio, veniva destituita dal primitivo servizio del corpo. E poiché aveva abbandonato il superiore Signore, non riusciva a tenere il servo inferiore (il corpo) sotto il suo arbitrio, e in nessun modo aveva sottomessa la sua carne, come sempre avrebbe potuto, se fosse rimasta essa stessa soggetta a Dio… Allora pertanto la carne cominciò ad avere concupiscenze contrarie allo spirito, con il cui conflitto siamo nati, traendo l’origine della morte e portando nelle nostre membra e nella natura viziata il suo contrasto con lo spirito o la vittoria, fin dalla prima prevaricazione” (Ivi). Ma l’uomo è stato creato buono o malvagio? Dio ha creato l’uomo retto. Nell’uno (Adamo), a causa del cattivo uso del libero arbitrio, come da una radice corrotta, abbiamo ereditato la morte seconda, a meno che non ci lasciamo liberare dalla grazia di Dio: “Dio infatti ha creato l’uomo retto, Lui autore della natura non certo dei vizi. Ma spontaneamente depravato e giustamente condannato, l’uomo ha generato depravati e dannati. Tutti infatti siamo stati in quell’uno, quando tutti siamo stati quell’uno… E per questo dal cattivo uso del libero arbitrio è sorta la serie di questa calamità, che conduce il genere umano a causa dell’origine depravata, come da una radice corrotta, con la connessione delle miserie, fino alla rovina della morte seconda che non ha fine, fatta eccezione per i soli che si lasciano liberare mediante la grazia di Dio. Tutti, infatti, siamo stati in quell’uno (Adamo), quando siamo stati tutti quell’uno” (De civ. Dei, XIII, 14: “Omnes enim fuimus in illo uno, quando omnes fuimus ille unus”). Ciò è avvenuto tramite la donna tratta dal suo corpo, quello di Adamo. Certo, osserva Agostino, nessuno di noi c’era già nella sua concretezza, “ma vi era già la natura seminale, da cui essere propagati. E poiché essa era viziata a causa del peccato e incatenata dal vincolo della morte e giustamente condannata, non di altra condizione l’uomo nascerebbe dall’uomo. E per questo dal cattivo uso del libero arbitrio ebbe origine la serie di queste calamità (il peccato e la morte), che conduce il genere umano per l’origine depravata, come una radice corrotta, fino alla rovina della seconda morte, che non ha fine, fatta eccezione per i soli che sono liberati per la grazia di Dio” (Ivi). Il nodo del problema consiste dunque nell’affrontare la morte fisica, causata dal peccato, in grazia di Dio, per non incorrere nella seconda morte “se l’uomo non si lascia liberare dalla grazia” (De civ. Dei, XIII, 15).

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