Commento al Vangelo domenicale
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Per ricaricarsi c’è bisogno del silenzio del deserto

Marco 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Per ricaricarsi c’è bisogno del silenzio del deserto

Sullo scenario dolce della Galilea, la regione settentrionale della Terrasanta in cui Gesù aveva iniziato la sua azione pubblica, si vede una folla in movimento, senza una guida, in ricerca affannosa di qualcuno che dica qualcosa di importante per dare sapore alla vita. La ricerca è intensa, quasi spasmodica. Non conosce soste, nemmeno per mangiare.
A Gesù, appartato in un luogo solitario con i suoi discepoli, giunge il rumore dei passi e l’onda delle voci della folla che cerca proprio Lui e che persino lo precede lungo le sponde del lago di Tiberiade, affascinata dalla sua presenza e dal suo insegnamento, incalzata dal desiderio di sentire finalmente parole genuine e piene di freschezza.
Gesù non può sottrarsi, né rimanere indifferente di fronte a queste persone spesso sfruttate dai potenti, disprezzate dai ricchi, ignorate dai sacerdoti. Sa che, ancora prima di pane e di guarigioni, hanno bisogno di una voce che le conforti, di una parola che le faccia sognare e soprattutto di un vero maestro che le ami.
Gesù nota la folla scomposta, che è simile a un gregge senza pastore. L’evangelista Marco accenna ad una figura – quella del pastore – che è presenza quotidiana sullo scenario di monti, di steppe e di rari prati verdi. Tale figura non era sempre caratterizzata da laboriosità e da dedizione. In passato, in più di una circostanza, pastori negligenti e disinteressati avevano consegnato il gregge ai razziatori, alle belve del deserto, ai dirupi, alla fame e alla sete.
La folla sbandata e alla deriva come un gregge senza guida era nota nell’Antico Testamento. Giosuè fu chiamato da Dio a guidare le “pecore senza pastore”. E Geremia tuonò contro i pastori che dovevano pascere il popolo e invece lo disperdevano e scacciavano le pecore loro affidate dall’Altissimo.
Osservando il desiderio profondo di tante persone di incontrare una guida e di trovare un vero conforto, Gesù manifesta tutta la sua commozione. La sua è una percezione profonda, anche fisica, che coinvolge le sue viscere, e quindi che va al di là di una semplice reazione emotiva, e diventa espressione della misericordia di Dio. Per Gesù gli umili e gli ultimi diventano i primi e prendono il posto dei grandi e dei potenti.
La modalità essenziale di fare il pastore è trasmessa agli apostoli. Gesù li invita a tirarsi in disparte e a riposare. Dopo il successo strepitoso nella predicazione, arriva il necessario tempo del riposo anche per loro. Gesù quasi impone quel ritirarsi nel deserto che urta contro tutte le regole di utilità e di programmazione. Solo nel deserto, dove ci si accontenta del necessario, è possibile quel dialogo con Dio che dà efficacia all’annuncio e lo motiva nel profondo. È il deserto che favorisce la pace del cuore. È il deserto il luogo migliore per la verifica dell’autenticità delle parole enunciate e dei gesti compiuti.
La proposta di ritirarsi e di prendere le distanze seppur temporaneamente dalla città e dai luoghi abitati non è priva di significato per l’oggi. I cristiani, confusi in questo tempo di grandi trasformazioni, come tutti i cercatori di Dio, come tutti coloro che vivono senza la bussola della religione e del soprannaturale, vengono sollecitati a ritirarsi anche per meglio riconoscere la voce del vero Maestro, spesso soffocata dalle rumorose voci di maestri di pensiero autoreferenziali o di improvvisate guide morali.
Per attuare la missione di unità, di gioia, di comunione è necessario avere una carica interiore che, come ci ricorda il Vangelo, nasce dal ritirarsi dalla folla, dall’essere in disparte almeno per qualche tempo, vivendo nel silenzio e nella preghiera.
Il cristiano deve essere un ascoltatore attento e attivo, impegnato a far suo il pensiero del Maestro. Per maturare una mentalità di fede c’è bisogno anche del silenzio del deserto. Il discepolo dovrebbe accogliere volentieri l’invito di Gesù a ritirarsi e a prender tempo per l’ascolto della parola di Dio, nella convinzione che ciò non è perdere tempo, ma è riempirlo di significato.

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