Commento al Vangelo domenicale
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Gesù rivela un Dio dalle viscere materne

16ª domenica del Tempo Ordinario
Marco 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Parole chiave: Vangelo (417), Domenica (56), Parola (13), Don Adelino Campedelli (78), Compassione (3)

Il brano evangelico di oggi fa sia da ricapitolazione degli avvenimenti precedenti, sia da introduzione alla sezione successiva del Vangelo, detta “sezione dei pani” (Mc 6,30-8,26) centrata sul tema del nutrimento. L’andamento del brano odierno è molto semplice e lineare: Gesù invita gli apostoli in disparte per un momento di riposo, la folla intuisce il luogo verso il quale sono diretti e li anticipa, Gesù esprime compassione per la folla, che è “come pecore che non hanno pastore” e si mette ad insegnare loro.
Il tutto dopo che gli apostoli sono tornati dalla missione ed hanno riferito ciò che hanno fatto ed insegnato; essi simboleggiano i pilastri del nuovo popolo di Dio, in analogia e in continuità con le dodici tribù di Israele: “Ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni”. La comunione con Gesù precede la predicazione e si traduce nella infaticabile attività contro il male in ogni sua forma. Non si precisa il contenuto del loro insegnamento, ma si sottolinea la condivisione degli apostoli con il Maestro e i suoi discepoli inoltre non si riducono a questo gruppo, più avanti infatti le direttive di Gesù interpellano tutte le persone che si pongono al suo seguito. I Dodici però si caratterizzano  come apostoli, in quanto inviati a continuare la missione di Gesù, essi però restano allo stesso tempo discepoli, in quanto anch’essi apprendono, vengono ammaestrati e imparano il “mestiere” di proclamare la buon notizia.
Gesù propone ai Dodici di prendersi una “pausa di deserto”, in disparte, lontano dalla confusione e dai rumori, per ritrovarsi e ritemprarsi. È una sorta di “settimo giorno”, che ricapitola il passato e lo rilancia verso il futuro. L’espressione “in disparte” denota sempre, nel Vangelo di Marco, la particolare intimità, la confidenza che si istaura tra Gesù e i discepoli. In compagnia di Gesù il discepolo recupera l’entusiasmo iniziale, ritempra le forze, ricarica un’anima spesso esaurita per il dispendio nel lavoro apostolico. Ma non è un capriccio né un riposo fine a se stesso, bensì è destinato al recupero delle energie fisiche e delle motivazioni soprannaturali necessarie per un’attività apostolica efficace.
È una solitudine piena, che però non dura a lungo. Il luogo, finora deserto, si popola ben presto di gente che, desiderosa di ascoltare il Maestro, si pone sulle sue tracce; la folla non tiene conto delle difficoltà pratiche che potranno insorgere, è affamata di quella parola di cui aveva parlato, secoli prima, il profeta Amos: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore».
Dinanzi a questa folla che somiglia ad un “gregge senza pastore”, che è priva di punti di orientamento, che si lascia vivere e spesso si accontenta di significati di vita a buon mercato, egli si rivela come il Pastore predetto dalle profezie, che  nutre compassione, nel senso di un coinvolgimento affettuoso intenso, espresso da un verbo greco che ha un chiaro legame con le viscere materne e che san Marco usa anche in altre pagine del suo Vangelo, come nel gesto solidale con il lebbroso (Mc 1,41), nei confronti della folla affamata (Mc 8,2) e dei genitori disperati per il loro figlio (Mc 9,22). Gesù è il Pastore giusto che incarna il nome di Dio che è il Compassionevole, nome collegato nella lingua ebraica con il grembo materno e indica un amore che nasce non da calcoli o attese di riconoscenza, ma da assoluta gratuità. È l’eco e la realizzazione fatta persona, fatta carne, di quanto Dio dice di se stesso nel libro dell’Esodo: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato» (Es 34,6-7).
A questo punto possiamo tirare le conclusioni facendoci guidare da quanto scriveva papa Francesco nella Misericordiae vultus, la Bolla di indizione del giubileo straordinario della Misericordia, al numero 12: “La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Nel nostro tempo, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre. La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia”.

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