Commento al Vangelo domenicale
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Il dovere di amministrare operando per il bene di tutti

Matteo 22,15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Parole chiave: Vangelo (390), XXIX del Tempo Ordinario (6)
Il dovere di amministrare operando per il bene di tutti

Il brano evangelico di questa domenica riporta la prima di una serie di controversie tra Gesù e quanti gli si contrappongono, che si snoda per tutto il ventiduesimo capitolo dell’opera di Matteo. L’evangelista, infatti, presenta il Nazareno mentre dapprima ha una discussione con i farisei e gli erodiani (Mt 22,15-22), successivamente prosegue con una diatriba con i sadducei (Mt 22,23-33) e con un dottore della legge (Mt 22,34-40), ed infine torna ad una disputa con i farisei (Mt 22,41-46). Il ricorso al confronto anche acceso non deve spaventare o insospettire poiché nella tradizione giudaica tale modalità di dibattito era abituale tra il rabbino e i suoi studenti: durante lo studio della Torah il docente non svolgeva lezioni frontali e cattedratiche ma discuteva con gli studenti che lo incalzavano con domande, dubbi e questioni.
La liturgia di questa domenica propone la lettura della diatriba che verte sul tema del pagamento del tributo a Cesare, questione che porta con sé dei risvolti importanti sia dal punto di vista politico che religioso. Durante il dominio romano in Palestina ciascun cittadino adulto della Giudea, della Samaria e dell’Idumea era tenuto a versare all’erario dell’impero un tributo che è divenuto nel tempo segno di sudditanza al potere proveniente dall’esterno. Considerando che l’imperatore romano è un pagano che pretende nei suoi confronti una sorta di culto e venerazione, quella che nasce come una situazione afferente alla sfera politico-amministrativa giunge a sfociare nell’ambito religioso. Rituali e azioni di adorazione nei confronti del re, infatti, ad un giudeo non possono che risultare idolatrici e pertanto impraticabili.
Il primo evangelista presenta il gruppo dei contendenti di Gesù costituito da farisei ed erodiani, il che è piuttosto insolito: tra essi solitamente c’era grande inimicizia poiché i primi detestavano Erode ritenendolo un re fantoccio collocato in tale posizione dai Romani e avevano al loro interno posizioni variegate rispetto alla necessità di versare i tributi agli occupanti, mentre i secondi essendo partigiani e sostenitori del monarca della Giudea, si adoperavano perché tutti pagassero le tasse a Cesare. L’antagonismo nei confronti di Gesù nazareno, però, li unisce.
Il linguaggio cui fanno ricorso nel porre la questione al Messia è lusinghiero, mellifluo, adulatorio e intende mascherare la volontà di coglierlo in fallo pubblicamente. Pronunciarsi sulla liceità o meno del tributo a Cesare è particolarmente insidioso: se, infatti, Gesù rispondesse in maniera negativa si attesterebbe come un ribelle, un contestatore dell’imperatore; diversamente, se rispondesse in modo affermativo apparirebbe come un collaborazionista della potenza occupante.
Il Nazareno, quindi, seguendo le tecniche della controversia e dopo aver smascherato l’ipocrisia di chi ha di fronte, evita di rispondere direttamente e ribatte ponendo una contro-domanda inerente a una questione che pare banale (ma non lo è) riguardante l’effige sulla moneta con cui si pagava il tributo, che riportava impressa l’immagine dell’imperatore. L’affermazione del Messia «Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» evita di entrare nella disputa su ciò che è lecito e ciò che non lo è; inoltre permette a Gesù di tenersi lontano contemporaneamente dai tentativi di politicizzazione di Dio e anche di sacralizzazione del potere politico. Cesare non è divino, non può pretendere di essere venerato come un Dio, ma ha il compito di amministrare la società lavorando per il bene di tutti. Nell’ottica proposta dal Nazareno ogni cittadino è chiamato a onorare doveri e debiti verso lo Stato, senza assoggettarsi completamente al potere umano ma solo alla volontà di Dio. Ciascuno ha il compito di vivere nel tempo e nella società che gli sono toccate in sorte, ma lo deve fare operando secondo la logica del Padre.
Gesù invita a restituire qualcosa anche a Dio, questione che al primo impatto può sembrare difficile o impraticabile. Il cristiano è pertanto esortato a restituire al Signore una modalità di essere e di vivere la sua umanità che cerca di assomigliare a Lui il più possibile, tentando di lasciare vedere in trasparenza l’immagine divina indelebile impressa all’inizio del tempo. In questo modo il Nazareno mostra ancora una volta di non essere un Messia rivoluzionario, ma colui che desidera avvicinare gli uomini alla volontà di Dio perché possano vivere nella società da persone autentiche promuovendo il cambiamento da dentro.

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