Commento al Vangelo domenicale
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Andiamo con gioia incontro al Signore

Luca 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Andiamo con gioia incontro al Signore

Nella prospettiva liturgica quest’ultima domenica di Avvento costituisce una sorta di vigilia del Natale. Al centro si presentano le due figure fondamentali dell’evento più importante della salvezza, Maria e il Cristo. Risaltano in modo del tutto speciale nel canto di Elisabetta offerto dall’odierna lettura evangelica della Visitazione. Le parole di Elisabetta, madre di Giovanni il Battista, sono un cantico, un inno di lode. Contengono al loro interno una benedizione: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» e una beatitudine: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!». In quest’espressione si può trovare quasi una chiave che dischiude l’intima realtà di Maria.
La prima strofa dell’inno è costituita da una benedizione che, non solo nella Bibbia, ma anche nell’antico Oriente, era legata soprattutto alla fecondità. Alla luce della maternità divina di Maria si comprende il valore di ogni maternità umana, segno sempre grande della vita che Dio effonde nel mondo e in ogni tempo. Un antico proverbio berbero usa questa singolare e intensa immagine: “Se una donna ha nel ventre un figlio, il suo corpo è come una tenda quando nel deserto soffia il vento caldo, è come un’oasi per l’assetato, come un tempio per chi vuole pregare”.
Alla benedizione segue una beatitudine, la prima contenuta nel Vangelo di Luca. Si tratta di una formula ricorrente nella Bibbia. La si ritrova anche nel salmo 128: “Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie”. Maria è beata non solo perché genera fisicamente il Cristo. È beata pure perché “ha ascoltato la parola di Dio e l’ha messa in pratica” (Cfr. Luca 11,27-28).
L’episodio della visita di Maria all’anziana Elisabetta è un ampliamento della scena precedente dell’Annunciazione. Il segno promesso a Maria dall’angelo Gabriele trova qui la sua conferma. Attraverso la propria madre il precursore Giovanni saluta e rende testimonianza al Signore Messia presente in Maria di Nazareth. Elisabetta accoglie Maria ad alta voce, come il popolo ebreo accolse l’arca dell’Alleanza con forti acclamazioni.
Elisabetta interpreta l’agitarsi della nuova vita che porta nel suo grembo come un annuncio profetico della gioia messianica da parte di colui che doveva essere consacrato dallo Spirito Santo fin dal seno materno, come era stato detto dall’angelo del Signore a Zaccaria nel tempio. Maria è ora l’Arca che custodisce la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo. Essa è salutata da Elisabetta come la più benedetta delle donne, perché il bambino che è in lei è il Signore, l’Emmanuele. Elisabetta proclama la beatitudine di Maria, la quale dà un significato profondo alla sua maternità: Maria è colei che ha creduto nell’efficacia della Parola di Dio che le è stata annunciata.
Maria è modello di accoglienza della Parola e del progetto di Dio su ciascuno di noi. Modello di speranza, è vicina nel viaggio a volte combattuto della fede, negli istanti solenni e gioiosi e in quelli difficili, dolorosi e amari.
È suggestivo che uno dei modelli più importanti di icona mariana dell’Oriente è quello cosiddetto dell’Odighitria, cioè di Maria “che indica la via” della fede nel Cristo suo figlio. Svolge questo compito con grande delicatezza. Additata la via verso il Messia, si ritrae rapidamente. Anche in quest’atteggiamento di profonda umiltà sta la sua grandezza: essere serva del Signore generato in lei.

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