Commento al Vangelo domenicale
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Il gesto e la parola di Gesù sono forti e veritieri

Giovanni 2,13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Parole chiave: Terza Domenica di Quaresima (5), Vangelo (389), Commento (92)
Il gesto e la parola di Gesù sono forti e veritieri

La liturgia della terza domenica di Quaresima propone la lettura di un brano del Vangelo secondo Giovanni che descrive Gesù mentre è a Gerusalemme per le celebrazioni della Pasqua dei Giudei. La vicenda è narrata anche dai sinottici, i quali, però, la collocano al termine della vita pubblica del Messia, quando Egli si reca in prossimità del Tempio poco prima di essere messo a morte. Diversamente, il quarto evangelista posiziona tale evento all’inizio del ministero del Nazareno, in occasione della sua prima – ce ne saranno altre due – salita presso la Città Santa per festeggiare la Pasqua.
L’annotazione temporale indica che siamo nel tempo in cui cade la festa che per gli ebrei funge da memoriale dell’esodo dall’Egitto e della liberazione operata da Dio nei confronti del suo popolo. In occasione di tale ricorrenza era abitudine che i pellegrini si recassero al Tempio per partecipare a sacrifici di ringraziamento o di riparazione, oppure per sancire la fine di alcuni voti. Per procedere all’acquisto di animali per i sacrifici, effettuare il pagamento della tassa annuale al Tempio o per altre offerte libere erano abitualmente presenti, in prossimità del luogo sacro, mercanti e cambiavalute. È stato stimato che in tali occasioni il numero di pellegrini si aggirasse attorno alle centomila unità: una folla enorme generatrice di un altrettanto grande e rilevante giro d’affari autorizzato e controllato dai sacerdoti di alto rango. Il trambusto e il caos che si sono palesati davanti agli occhi del Nazareno quando giunge in prossimità del Tempio non sono, quindi, difficili da immaginare.
Di fronte alla mistificazione e al mancato rispetto del luogo preposto all’incontro con Dio, Gesù compie un gesto forte di protesta: prende una frusta fatta di cordicelle e crea scompiglio rovesciando i banchi dei cambiavalute e allontanando i mercanti di animali. Egli agisce come un profeta che denuncia una situazione perversa e deteriorata che ha fatto del Tempio un mercato, un centro di potere economico invece che il luogo della presenza di Dio. L’azione compiuta appare molto rilevante in virtù della sua verità: il gesto e la parola di Gesù non fanno sconti, non blandiscono nessuno e denunciano le storture presenti. Lo stupore che suscita l’immagine di Cristo con la frusta in mano rimanda alla tradizione giudaica secondo la quale il Messia, una volta arrivato, con il suo flagello avrebbe messo fine alla malvagità del mondo e inaugurato il tempo del Signore.
Di fronte a tali azioni imperiose, gli uomini e i sacerdoti giudei presenti si domandano con quale autorità questo nazareno possa permettersi di agire così, ma soprattutto chiedono un segno che attesti e autorizzi quanto ha fatto. Ed ecco che Gesù risponde con una frase enigmatica, che suona come una profezia e che i presenti non capiscono in maniera corretta. Mentre il Maestro parlando del tempio che può risorgere in tre giorni si riferisce al suo corpo, gli astanti considerano il termine tempio riferito all’edificio sacro che ha richiesto quasi mezzo secolo per essere eretto. È interessante notare la scelta stilistica di Giovanni: in precedenza, quando si riferisce al Tempio l’evangelista utilizza il termine ieròn, invece nell’affermazione che proferisce Gesù compare il termine naòs, vocabolo che non designa tanto l’intero complesso sacro, quanto piuttosto il luogo più interno di esso, il Santo dei Santi, il luogo della presenza di Dio. Il lessico, pertanto, aiuta a comprendere come l’intenzione dell’autore sia quella di suggerire la necessità di un passaggio da un luogo fisico di pietra – il Tempio – ad un luogo di presenza e relazione – la persona di Gesù –, da un contesto in cui si compiono sacrifici animali ad un altro in cui il corpo di un uomo si offre liberamente per amore.
Il sommario conclusivo sull’attività anche taumaturgica di Gesù a Gerusalemme si presta a operare una riflessione in merito ai segni e alla fede, ossia all’obiettivo delle azioni di Gesù e alla realtà dei credenti. L’evangelista intende chiarire, infatti, che se i gesti straordinari compiuti dal Nazareno facilitano l’inizio della sequela, essi non possono essere sufficienti e determinanti per fondare la relazione di fiducia e abbandono che caratterizza lo statuto del discepolo. La fede autentica non può poggiare sulle azioni miracolistiche. Il Nazareno sa discernere la fede interessata ad ottenere qualcosa da Lui piuttosto che a conoscerlo e quindi diffida di alcuni che si dicono credenti.
La tentazione di ridurre la sfera religiosa ad una perpetua richiesta, di addomesticare il Vangelo e la volontà di Dio secondo le proprie idee e interessi, di rendere anche la dimensione sacra una realtà segnata dalla legge dello scambio per cui si accorda un potere a seguito di elargizioni di beni diversi non è qualcosa di così lontano dal presente in cui viviamo. Fortunatamente Dio sa leggere nel cuore di ciascuno in verità e non teme di proporsi con chiarezza per dare a tutti la possibilità di scegliere il meglio.

Dipinto: Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, Cristo scaccia i mercanti dal tempio (XVII sec.), olio su tela, Genova, Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso

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