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Si educa facendo compiere esperienze nel mondo reale

di SILVIA ALLEGRI

Padre Giulio Albanese: «La soluzione non viene dal digitale, il pensiero va sviluppato»

Parole chiave: Padre Giulio Albanese (1), Giornali (12), Chiesa (181), Educazione (20), Fede (57)
Si educa facendo compiere esperienze nel mondo reale

di SILVIA ALLEGRI

“L’ignoranza è un male veramente terribile e fonte di molte disgrazie, perché versa una sorta di nebbia sulle nostre azioni, oscura la verità, getta un’ombra sulla vita di ciascuno”. Sono queste riflessioni di Luciano di Samosata, retore greco di origine siriana celebre per la natura arguta e irriverente dei suoi scritti, ad aver ispirato Giulio Albanese nella stesura del libro Libera nos Domine – Sulla globalizzazione dell’indifferenza e sull’ignoranza dell’idiota giulivo (Edizioni Messaggero Padova, 2020).

Comboniano, già direttore del New People Media Centre di Nairobi e fondatore della Missionary Service News Agency, padre Giulio Albanese collabora oggi con Avvenire e L’Osservatore Romano, partecipando a incontri di formazione per professionisti della comunicazione in Italia e in Europa. Nelle pagine del suo libro, ricche di riferimenti ai testi sacri, ma anche di citazioni di illustri studiosi, filosofi e giornalisti contemporanei, insieme ai dati evinti dalle relazioni curate da organismi internazionali di statistica, padre Giulio ci conduce a riflettere, con una sana dose di ironia a partire dalla copertina del libro, sul male tra i più pericolosi della nostra epoca: il virus della stupidità.

«Soffermiamoci su quello che accade oggi nel Belpaese – ci racconta durante una piacevole chiacchierata telefonica –. Gli italiani sono all’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto. Significa che la gente, quando legge, non capisce. Le agenzie educative non svolgono più il loro ruolo: la scuola è in difficoltà e risente delle turbolenze che avvengono nella società civile e nel mondo delle istituzioni, la famiglia non è in grado di educare, nel momento in cui i primi a non studiare e andare avanti per sentito dire sono proprio i genitori. La terza agenzia educativa è costituita dalle comunità cristiane, che quindi hanno il dovere di contaminare scuola e famiglia e a loro volta di riabilitarsi».

E aggiunge: «In altre parole noi preti abbiamo una responsabilità mostruosa. Ricordiamoci che Gesù è una persona autorevole, autentica, che fa quello che dice e possiede una parola forte, che riempie di significato. Quindi i presbiteri dovrebbero essere i primi educatori insieme a tutti i laici di buona volontà che si assumono questa responsabilità. Purtroppo oggi c’è un corto circuito tra quello che diciamo in chiesa e quello che avviene nell’agorà, nella piazza del mondo. Un grande teologo protestante del Novecento, Karl Barth, affermava che quando un predicatore sale sul pulpito deve avere in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale. E se oggi il cartaceo è in crisi, la soluzione non viene dal digitale: i pensieri vanno sviluppati, le riflessioni non possono essere sempre frammentarie. Se non aiutiamo concretamente la gente a comprendere il nostro tempo, i nostri discorsi non portano a nulla».

La comunità cristiana, dunque, dovrebbe essere un laboratorio e recuperare un ruolo educante, ci ricorda lo studioso, offrendo l’opportunità di fare esperienze nel mondo reale: «Se faccio catechesi sulla carità devo portare i ragazzi in una comunità di accoglienza o in un centro di recupero; se faccio catechesi sulla preghiera devo portarli a visitare le catacombe o a partecipare all’esperienza della preghiera mattutina in una comunità di monaci. Insomma, è essenziale vivere in prima persona ciò che si legge e si ascolta».

Da dove si deve partire, quindi, per rendere possibile un’inversione di tendenza? L’invito di padre Albanese è quello di affrontare una sfida prima di tutto culturale: “Occorre un discernimento profondo, una spiritualità più intensa, un sapere più alto, una capacità di riflettere più vigorosa, un’intelligenza morale che ponga un freno al selvaggio e prorompente interesse di parte”, scrive. “La nostra è una società che si sta chiudendo a riccio, portando a una mercificazione della vita umana in tutte le sue molteplici declinazioni”.

Ma si riuscirà a uscire dalla situazione critica attuale? La risposta è affermativa, secondo l’autore. “Il modus operandi, l’agire concreto dipenderà dall’impegno condiviso e da una decisa assunzione di responsabilità. Si tratta di accrescere, come auspicato ripetutamente da papa Francesco, la capacità di osmosi, di empatia, di connessione umana con la sofferenza e le speranze della gente e soprattutto dei poveri”. E per fare discernimento, ci ricorda padre Giulio, servono tempo, studio, impegno, riflessione e preghiera. 

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