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L’Africa? Non fa notizia oppure è sempre “nera”

di ADRIANA VALLISARI
Continente complesso e complicato che gli italiani non conoscono

L’Africa? Non fa notizia oppure è sempre “nera”

di ADRIANA VALLISARI
Se ne parla solo per dar conto dei flussi migratori o, al massimo, di terrorismo e guerre (sono un’ottantina quelle in corso e molte dimenticate, come quella del Tigrai, nel nord dell’Etiopia). L’Africa è un continente grande tre volte l’Europa; eppure è raccontato poco dai media italiani: è sotto-rappresentato e la sua descrizione spesso è infarcita di luoghi comuni.
Se siete lettori di Verona fedele magari non vi sembrerà proprio così, perché da anni, sia nelle pagine della Missione che del Mondo proviamo a tener alta l’attenzione su questa fetta di pianeta. Ma se pensate a quante volte sentite parlare di Africa nei telegiornali nazionali o leggete notizie africane sui quotidiani – fatta eccezione per Avvenire o testate specializzate, come la veronese Nigrizia –, troverete conferma dei dati presentati dall’ultimo rapporto di Amref, curato dall’Osservatorio di Pavia.
Da noi l’attenzione mediatica per l’Africa, a differenza di altri Paesi, è marginale e va sempre a braccetto con le emergenze; è del tutto ignorato, solo per fare un esempio tra tanti, il volto più dinamico e innovativo, legato al grande balzo tecnologico di una buona fetta di economie della regione sub-sahariana, che grazie ad esso hanno migliorato i loro mercati. Come mai? «Scontiamo un grosso problema linguistico e culturale», osserva Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire e autore, insieme a Paolo M. Alfieri e a padre Giulio Albanese, del libro L’Africa non fa notizia, che ha presentato di recente a San Bonifacio, invitato dalla libreria Bonturi. Le notizie sull’Africa si attingono in altre lingue rispetto all’italiano e questo ci limita: di esteri, a differenza degli altri Stati, ce ne occupiamo poco; poi c’è un retaggio storico che ci portiamo appresso e che risale al colonialismo italiano.
«In Africa ci siamo stati sia con l’Italia liberale e sia con Mussolini – ricostruisce Lambruschi –. I fascisti hanno attuato pratiche disumane, gasando gli Etiopi, praticando un apartheid in Eritrea (copiato poi dai sudafricani), facendo figli mai riconosciuti... Tutte cose che non stava bene dire». L’Africa, o meglio le Afriche, visto che si tratta di un continente vasto e pieno di sfaccettature, meriterebbe più considerazione. Conoscerlo meglio ci permetterebbe di guardare in modo più aderente alla realtà, oltre i luoghi comuni che soffocano i ragionamenti e ci condizionano. Prendiamo la questione più spinosa, quella dell’immigrazione. «La mobilità africana è molto più interna che intercontinentale e riguarda una ventina di milioni di persone l’anno; di queste, solo un 10% scarso si sposta verso Nord, scegliendo come destinazione l’Africa settentrionale – spiega il giornalista, citando le statistiche dell’Onu pre-Covid –. La mobilità ha varie cause: miseria, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche, guerre».
Spesso emigrare diventa una necessità. «Ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di vivere a casa propria in pace e dignità: invece non è così, come ha ricordato papa Francesco nel suo discorso per la 109ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata domenica 24 settembre sul tema “Liberi di scegliere se migrare o restare” – prosegue –. Emigrare dovrebbe essere una libera scelta, ma non lo è: in vista del Giubileo del 2025 il Papa esorta a fare un’operazione verità, che non è né di destra, né di sinistra, come le nostre beghe da pollaio cercano sempre di ridurla. Quello di Francesco è un messaggio evangelico, che non va strumentalizzato e che invita la comunità internazionale ad agire sulle cause che provocano i flussi migratori». È una questione complessa, che richiede risposte articolate; non ci si può occupare dell’Africa solo quando ci sono gli sbarchi – che, va ricordato, non sono invasioni dell’Italia, dal momento che il peso maggiore ricade sui Paesi limitrofi – con reazioni spesso “di pancia”. Intervenire sulle cause significa ad esempio mettere un freno allo sfruttamento delle risorse naturali africane, che fanno tanta gola alle potenze estere, Cina in primis, stabilitasi qui vent’anni fa.
«Questo è il continente più ricco della Terra e anche il più sfruttato: l’Africa possiede il 30% delle risorse naturali mondiali, il 14% della popolazione globale (giovane: l’età media è di 19 anni), ma il 43% dei poveri del pianeta – sottolinea Lambruschi –. Questo saccheggio non aiuta a combattere la fame da carestie, né i mutamenti climatici, a cui gli africani hanno contribuito solo per i 4%: l’Unione Europea dovrebbe impegnarsi con la stessa intensità che mette in atto nel contrasto all’immigrazione irregolare per lottare contro la corruzione, che è il principale freno allo sviluppo e quindi il principale motore di flussi che svuotano l’Africa». Occorrerebbe un dibattito serio sul tema. Ma, soprattutto in Italia, si fatica a intavolarlo. Aiutare questa parte di pianeta a svilupparsi è questione di giustizia: ridurre le disuguaglianze è uno degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu e anche l’Italia sarà chiamata a fare la propria parte, destinando alla cooperazione lo 0,7% del Pil nazionale entro il 2030. Trovare delle soluzioni realistiche ridurrebbe pure gli esodi mortali lungo le rotte gestite da trafficanti senza scrupolo, che così finanziano il terrorismo.
«I flussi misti di migranti economici e rifugiati non giovano e non convengono a nessuno, se non a chi guadagna sulla pelle dei più poveri – conclude il giornalista –. In Italia si continua a considerare il fenomeno migratorio solo come emergenza e non come opportunità: la pandemia ha ribadito che certi lavori umili e necessari in agricoltura, commercio, sanità e assistenza domiciliare gli italiani e gli europei non li vogliono più fare; occorre manodopera da importare con flussi regolari di ingresso, ma la legge sull’immigrazione risale al 2001: un ritardo epocale, che va colmato in fretta, per non restare impantanati. Le organizzazioni criminali, al contrario, si stanno già riorganizzando velocemente». 

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